PuntoSostenibile

È tempo di rallentare e di decrescere, in meglio

di Annamaria Duello
pubblicato il 25/10/2022

Non c’è tempo da perdere. Time is money, e va impiegato al meglio per produrre e crescere. E poi consumare, produrre di nuovo e crescere ancora di più. Economicamente, tecnologicamente, territorialmente, professionalmente. 

Uno sviluppo e un perfezionamento perpetuo che è il mantra comune di oltre sette miliardi di persone nel mondo. Formula liturgica e credo inconfutabile di ogni paese industrializzato: crescere a ogni costo. Sì, viviamo in società iperattive, laboriose e in perenne via di sviluppo. Abitiamo città fondate sul mito del progresso e lastricate di ambizione. Chi di noi si sveglia e poi si riaddormenta in grandi metropoli, spesso ha la sensazione di muoversi in un grande formicaio operoso, un insieme dai bioritmi sincronizzati – accelerati – e tesi alla massima produttività e al miglior risultato. La domanda però è obbligatoria: siamo davvero sicuri che questa sia la strada giusta?

Il futuro che inseguiamo, a questo ritmo e con questi consumi, è davvero florido e salutare come lo sogniamo?

Dalla Rivoluzione industriale in poi non c’è stato freno alla crescita economica e materiale. Anno dopo anno, abbiamo dato vita a un sistema incapace di arrestarsi, o quanto meno di rallentare, votato alla promessa di un progresso infinito a discapito dei tempi della natura. L’assioma del “niente può crescere all’infinito” è stato ampiamente ignorato, e governi, banche e aziende hanno preferito sviluppare strategie operative completamente dipendenti dalla crescita continua dei profitti e del Pil.

A furia di tirare troppo la corda, però, prima o poi questa si spezza. A furia di costruire torri con mattoni sempre più pesanti uno sopra l’altro, prima o poi queste collasseranno. E affinché il legittimo sviluppo di una comunità possa essere definito “davvero sostenibile” è necessario rallentare e fermarsi un momento. Adesso, prima che questa corsa frenetica ci porti oltre i limiti di sopportazione del Pianeta. Decelerare per non schiantarsi, in altre parole: decrescere.

È quello che tenta di spiegarci Che cosa è la decrescita oggi, vademecum scritto a quattro mani da Giorgos Kallis, Susan Paulson, Giacomo D’Alisa e Federico Demaria. Mandato in stampa per la prima volta in lingua inglese nell’aprile del 2020, in un mondo immobilizzato dalla pandemia, viene tradotto e riproposto in Italia da Edizioni Ambiente a due anni di distanza. Ora che, dopo quel fermo imposto, tutto sembra essersi rimesso in moto.

Parlare oggi di “decrescita”, per ovvie ragioni, mette quasi paura. Parola il cui significato letterale ci rimanda all’area semantica della regressione, dell’involuzione e magari del declino.

Niente di più sbagliato. Ecco perché, come ripetono più volte i quattro autori, è fondamentale riflettere non solo su cos’è, ma soprattutto su cosa non è la decrescita. Decrescere vuol dire rallentare deliberatamente i livelli di produzione e consumo dell’intera società, riducendo la quantità di materie ed energia che muovono il sistema economico e che rapidamente consumano le risorse naturali. Un modo per trasformare i sistemi produttivi in base sia ai bisogni umani e ai limiti ecologici.

Un ampio discorso che tenta di scardinare le politiche economiche così come le conosciamo, a favore di comportamenti moderati, lungimiranti e responsabili. Fermare l’arricchimento dei singoli per distribuire la ricchezza e limitare le disuguaglianze. Limitare le produzioni per non danneggiare l’ambiente e dare nuova vita a quelli che a volte chiamiamo “scarti”.

Per farlo, non è possibile continuare a sovvenzionare le aziende che operano nei combustibili fossili, per esempio. Piuttosto bisognerà indirizzare le sovvenzioni dei governi verso la transizione ecologica e circolare, la riorganizzazione delle infrastrutture sanitarie e assistenziali e la creazione di nuovi posti di lavoro e mezzi di sussistenza universali

Parlare di decrescita non significa immaginare utopie. Il dibattito è più acceso che mai, soprattutto dopo gli eventi degli ultimi due anni, anche se nel nostro Paese procede a singhiozzi e senza elaborazioni pratico-politiche. Questo, tuttavia, è anche uno dei momenti di più grande effervescenza e ri-politicizzazione della crisi ecologica. E allora, nel tentare di tracciare nuove strade verso il futuro, scrivere e leggere di decrescita dalle nostre metropoli iperattive potrebbe iniziare a fare la differenza.


Immagine: Jose Martin Ramirez Carrasco (Unsplash)