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L’inattivismo sul clima? Negazionismo con l’abito elegante

di Diego Tavazzi
pubblicato il 11/11/2021

Considerato uno dei più importanti climatologi del mondo, Michael Mann ha scelto di impegnarsi in prima persona nella lotta contro le lobby che seminano disinformazione sui cambiamenti climatici. La nuova guerra del clima decostruisce le strategie degli inattivisti, che non negano più la realtà dei cambiamenti climatici e puntano invece a ritardare la transizione a un’economia a zero emissioni di carbonio. 

La nuova guerra del clima

La battaglia per riprenderci il pianeta

L’auto elettrica? Va bene, certo, però che aiuto può dare alla lotta ai cambiamenti climatici, visto che l’elettricità che serve ad alimentarla viene prodotta con il carbone? Il gas: non c’è un combustibile migliore per la transizione ecologica, così pulito, così innocuo e così affidabile. Che dire poi del nucleare? Se in giro ce n’è così poco è colpa solo delle impuntature di un manipolo di ambientalisti radical chic, che comunque verranno superate dalle tecnologie di quarta generazione. In attesa, ovviamente, della fusione, che al più tardi dopo domani sarà disponibile.

E che dire di tutta quest’ansia sui cambiamenti climatici? Ok, d’accordo, bisogna fare qualcosa, ma forse basterebbe piantare qualche miliardo di alberi e investire sulle tecnologie per la cattura e il sequestro del carbonio. Del resto, per salvare il clima non bisogna viaggiare in aereo né tantomeno fare figli, bisogna dare un taglio alla carne, meglio ancora diventare vegani, perché siamo noi responsabili dei cambiamenti climatici e noi possiamo fermarli… 

Quello che precede è un elenco – di certo da aggiornare, la creatività umana è potente, anche quando si tratta di trovare nuovi modi per fuorviare il prossimo – delle affermazioni che si sentono con sempre maggior frequenza sui quotidiani e in televisione quando si affrontano temi come la transizione ecologica o i cambiamenti climatici.

Come spiega Michael Mann nel suo ultimo libro, La nuova guerra del clima, è ormai passato il tempo del negazionismo più estremo, che oggi è relegato ai margini del discorso pubblico, tranne in quei casi in cui qualche conduttore televisivo, per guadagnare uno zero virgola di audience, tira fuori dalla naftalina qualche attempato vegliardo che ripete che “è colpa del sole”, “il clima è sempre cambiato”, “la CO2 fa bene alle piante”. Adesso va per la maggiore l’approccio che Mann definisce “inattivista”: i suoi sostenitori si auto-definiscono razionali, e proclamano di essere gli unici in grado di valutare realisticamente i costi, i benefici e le complesse tematiche geopolitiche dell’energia e dei cambiamenti climatici. In realtà, come dimostra Mann, fatta eccezione per pochi distratti in buona fede, nella stragrande maggioranza dei casi questi inattivisti non hanno altro obiettivo che quello di prolungare lo status quo, e consentire così alle aziende dei fossili di continuare, ancora un po’, a guadagnare dalla vendita dei loro prodotti. 

Le strategie si sono fatte più raffinate, si insiste sui costi della transizione (che senz’altro ci sono) e si dimenticano sempre i benefici (che sono moltissimi), e oltre a giornali e televisioni si sfruttano le possibilità offerte dai social media. Mann, che è stato ed è tuttora al centro di violente campagne di delegittimazione condotte da politici e commentatori di orientamento conservatore che riverberano sui vari social, dedica un capitolo del suo libro all’analisi delle dinamiche della disinformazione via social. Tema particolarmente scottante, alla luce delle rivelazioni che si susseguono ormai quotidianamente sui modi in cui Facebook (e in misura minore Twitter) avrebbe tollerato la diffusione di notizie false e sarebbe stato usato per aggravare le divisioni sociali e destabilizzare le democrazie occidentali. Non è un caso che la Russia, paese da cui partono la maggior parte delle campagne di disinformazione, sia anche uno stato fossile la cui principale ricchezza sono gas e petrolio. 

Il libro di Mann, al netto del riconoscimento degli ostacoli, enormi, che ancora si frappongono alla decarbonizzazione, resta però fondamentalmente ottimista. Il climatologo statunitense sottolinea infatti che la spinta che viene dai movimenti sociali, destinata con ogni probabilità a rinforzarsi in parallelo con la gravità degli impatti e l’inerzia della politica, assieme alla caduta dei prezzi delle rinnovabili, che stanno diventando sempre più competitive, persino con il carbone, ci stanno portando a un tipping point “di quelli buoni”, in grado di farci finalmente svoltare sul tema del riscaldamento globale. 

Di libri come questo, e dei messaggi che portano, ce n’è bisogno: bisogna resistere alla tentazione di abbandonarsi a visioni del futuro eccessivamente cupe e senza speranza, quelle che servono ai “pornografi del clima” per vendere qualche copia in più dei loro libri, e impegnarsi sulle questioni che contano: ogni decimo di grado è importante, e la partita non è chiusa. 


Immagine: Mika Baumister (Unsplash)