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PuntoSostenibile

Io ti vedo

Avatar

a cura della redazione
pubblicato il 26/01/2023

“L’energia della terra è solo in prestito, arriverà il momento in cui dovremo restituirla”, spiega Neytiri, la protagonista del film Avatar, al terrestre Jake Sully, mostrando le tradizioni di sepoltura dei morti nella sua cultura. 

Neytiri è un’aliena, della specie dei Na’vi, umanoidi che vivono su Pandora, una delle lune di Polyphemus, pianeta gigante gassoso che orbita intorno alla stella Alpha Centauri A, a 4,4 anni luce dalla Terra. Tanto Pandora ricorda un Eden ritrovato, quanto il nostro pianeta, che non viene mai inquadrato nel film, è una terra desolata, condannata all’estinzione. 

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Avatar bandisce la rappresentazione della catastrofe e si concentra sulla ricostruzione di Pandora, la cui ecologia (in senso scientifico) si è evoluta al punto da creare una rete dei viventi molto più forte che non sulla Terra. Animali e piante sono infatti in relazione fra loro attraverso una fitta rete neurale di collegamenti biologici che la natura ha sviluppato da sola. Se non di un’autocoscienza collettiva, il pianeta sembrerebbe di certo dotato della capacità di trasmettere sensazioni, un’empatia planetaria. Il modello Gaia, il Pianeta vivente, che ora ha anche un abbozzo di coscienza. Oppure, da un altro punto di vista, si tratta della visualizzazione cinematografica delle reti neurali di cui parlava Bateson, e sarebbe la prima volta che un cineasta compie scientemente una scelta simile.

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L’intreccio intorno al quale il film di Cameron si sviluppa è abbastanza semplice: da tempo i terrestri si riforniscono di un particolare minerale altamente conduttore e di grande valore, l’unobtanio, che esiste solo su Pandora. Le operazioni di scavo sono compiute da privati con l’ausilio di milizie mercenarie, necessarie per lo sgombero e il contrasto delle popolazioni native, i Na’vi. I privati che gestiscono la risorsa mineraria consentono ad alcuni scienziati di analizzare l’ecologia del pianeta e i costumi dei Na’vi. Gli studiosi utilizzano per questo scopo dei cloni alieni in cui i terrestri possono riversare la propria coscienza, degli avatar veri e propri. Jake Sully acquisirà il controllo di uno di questi avatar per trattare con le popolazioni locali e convincerle ad abbandonare il proprio territorio, ricco di unobtanio. Sully fraternizza a tal punto con i Na’vi che, innamoratosi della figlia del capotribù, si ribellerà agli umani. Solo dopo una devastante battaglia gli abitanti di Pandora riusciranno a cacciare i terrestri e Sully abbandonerà il suo corpo umano per vivere per sempre nel suo avatar alieno. 

[…]

L’idea di non mostrare la catastrofe che incombe sul destino della Terra è la cifra di un film che evidentemente non vuole intrattenerci con la fine di una civiltà (o di un pianeta), ma che anzi gioca la carta della rinascita ecologista. La nuova alleanza che Jake Sully propone fra uomo e natura (Madre natura) è allo stesso tempo mitologica e politica. Mitologica, perché essa avviene attraverso una morte e una resurrezione (Sully abbandona il corpo terrestre e si reincarna in quello alieno del suo avatar) che nulla hanno di magico o anche di lontanamente teosofico, evitando saggiamente di cadere nell’estetica new age; politica, perché alla fine del dramma si propone un nuovo patto fra terrestri e alieni, su una base di reciproco rispetto e sostenibilità delle risorse. 

Potremmo aggiungere che la cura maniacale con la quale è stata pensata e realizzata l’ambientazione di Pandora non è solo un capolavoro di scenografia, ma è anche lo sforzo intellettuale di immaginare un mondo in cui l’evoluzione ha assunto strade diverse, seppure per molti aspetti convergenti. Sebbene si sia, infatti, nel regno della fantasia, anzi della fantascienza, si può affermare che l’opera abbia fatto affidamento su biologi, naturalisti e antropologi, non meno, per esempio, di Gorilla nella nebbia, film dal quale Avatar, in una simmetria non casuale, eredita la protagonista: quella Sigurney Waever che là interpretava la primatologa Dian Fossey, assassinata dai bracconieri nel 1985, e qui impersona l’etnologa che studia i Na’vi (e che finirà uccisa dai militari). 

L’approccio scientifico, e quindi ecologico, diventa uno dei due cardini intorno ai quali si sviluppa il film; l’altro è quello meta-cinematografico in cui la proiezione in tre dimensioni diventa la svolta del nuovo cinema, per cui il saluto tipico dei Na’vi, "Io ti vedo", diventa anche il manifesto programmatico della nuova visione, sintetizzata, anche questa, dall’immagine che chiude programmaticamente la pellicola: i grandi occhi gialli dell’avatar in cui si reincarna Sully. 

Avatar ci lascia, in ultima istanza, con un messaggio di laico ottimismo, liberi dal cilicio da Il nome della rosa, con una resurrezione che non è divina né dovuta a un deus ex machina, ma scientifica (per quanto fantastica) e quindi alla portata della nostra limitata esistenza. Appunto una nuova alleanza, un nuovo patto, un new deal ecologista, tipico dell’era Obama in cui il film nasceva. […]


Tratto da pag. 253, M. Gisotti, Ecovisioni, Edizioni Ambiente 2022

Immagine: ©20thCentFox/Courtesy Everett Collection