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Ecovisioni

L’ecologia al cinema dai fratelli Lumière alla Marvel – in 100 film e 5 percorsi didattici

Cinema ed ecologia sono “invenzioni” del diciannovesimo secolo. Il loro primo punto di contatto si ha nel 1897, quando uno degli operatori dei fratelli Lumière in giro per il mondo, Kamill Serf, riprende un pozzo di petrolio in fiamme a Baku, capitale dell’Azerbaigian. Si tratta di una semplice ripresa di 36 secondi, ma è quella che il cineasta e critico francese Bertrand Tavernier definì «il primo film ecologista mai realizzato».

È proprio da questo cortometraggio che parte Ecovisioni, l’analisi dettagliata di come la coscienza ambientalista abbia influenzato, e continui a influenzare, le storie arrivate a noi attraverso il grande schermo. Ed è, allo stesso tempo, l’indagine di come il cinema sia riuscito a documentare, con espedienti e linguaggi sempre nuovi, le trasformazioni ambientali dal secolo scorso a oggi.

In questo libro, Marco Gisotti ripercorre 125 anni di storia del cinema attraverso 150 opere cinematografiche, di cui 100 film in dettaglio e altre 50 produzioni analizzate più sinteticamente all’interno di cinque percorsi didattici, che spaziano dai documentari alle serie TV e alle serie animate.

Da Metropolis a King Kong, da Wall-E a La Principessa Mononoke, da Into the Wild al più recente Siccità. Una selezione che predilige quei film che possono aver avuto un impatto maggiore sugli spettatori o che siano stati importanti nel dibattito pubblico, con una prevalenza di produzioni nordamericane ed europee, ma con tanti esempi anche da Asia, Africa e Sudamerica, a dimostrazione di un'attenzione sempre più crescente e generalizzata al tema ambientale. 

Fra la metà degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, infatti, il dibattito emerge dal mondo della ricerca e delle lotte degli attivisti per diventare mainstream. Se alla paura degli armamenti nucleari il cinema non riesce a opporre narrazioni che immaginino una via d’uscita, per quanto riguarda la catastrofe ambientale, invece, nei film si trova sempre più spesso il germe della rinascita, fino all’exploit del New Green Deal obamiano. Nel frattempo, l’immaginario europeo insiste ancora sulla gravità della crisi ecologica, con opere che, anche sotto forma di commedia, rivelano la maturità di un dibattito pubblico che ha già integrato nella propria agenda la questione ecologica ed energetica.  Agli inizi degli anni Venti del Duemila, infine, la produzione per così dire “green” si infittisce e, in circa due anni, nonostante la pandemia, vengono immessi sul mercato almeno 30-40 titoli, di diverse nazionalità, incentrati su espliciti riferimenti ambientali, con un’ampia trasversalità nei generi, arrivando a contaminare persino il filone dei supereroi.

Il cinema dell’Antropocene

[…] In poco tempo i Lumière invieranno in ogni angolo del mondo i loro operatori, per riprendere scorci di vita reale per ampliare il mercato della loro invenzione. Uno di questi, Kamill Serf, nel 1897 riprenderà a Baku, capitale dell’Azerbaigian, un pozzo di petrolio in fiamme. Sarà quello che il critico e cineasta francese Bertrand Tavernier ha definito «il primo film ecologista mai realizzato».

Spettatore nostro contemporaneo, davanti a un pozzo petrolifero in fiamme Tavernier percepisce qualcosa che i Lumière non interpretavano con la nostra stessa urgenza: quella che certamente anche per loro doveva essere una catastrofe, non lo era ancora in senso ambientale. Tuttavia, il loro film portava un fatto nuovo davanti agli occhi sgomenti di una platea lontana migliaia di chilometri da Baku. Era spettacolare, ma era altrettanto evidente che si trattava di un incidente. Un terribile incidente. Quel tipo di incidente che nella storia del nostro pianeta solo una specie è stata fino a oggi in grado di provocare: l’Homo sapiens sapiens.

La parola Antropocene, che indica il periodo di storia geologica del nostro pianeta che è stato – ed è ancora – caratterizzato pesantemente dall’azione dell’uomo, è stata coniata dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen. Quasi una provocazione per sottolineare il profondo impatto che una singola e unica specie – la nostra – ha avuto e sta avendo a livello planetario. […] Il cinema, nel corso della sua storia, ha documentato spesso questa trasformazione e, soprattutto nella cinematografia statunitense, con una precisa coscienza critica, rispecchiando il reale dibattito che nel paese era in corso.


Ecovisioni popolari

Il grande dibattito che oggi coinvolge i decani del cinema, contrapposti alle produzioni seriali come quelle della Marvel o al consumo in streaming al posto della sala, ripropone più o meno i due modelli che proponevano Edison e i Lumière. Il primo con il suo cinetoscopio, che consentiva a una persona per volta di vedere i film, contrapposto ai due fratelli che hanno inventato il cinematografo e la sala. C’è oggi in gioco la dimensione del consumo collettivo, contrapposta a quella individuale o in piccoli gruppi familiari. Inoltre, sempre più forte è l’attenzione sugli impatti ambientali dell’industria cinematografica, con la richiesta che concezione, produzione e distribuzione aderiscano a disciplinari ambientali e/o riducano a prescindere la propria impronta ecologica.

Con ogni probabilità, il cinema dell’Antropocene dei prossimi anni proporrà un numero sempre crescente di esercizi di stile sul tema, anche con il rischio di normalizzare la percezione della crisi, di renderla un rumore di fondo o una semplice scenografia. In realtà, ciò accade già per molte produzioni minori statunitensi, prodotte a basso costo per quello che un tempo era il mercato home video e via cavo e che oggi è lo streaming. D’altro canto, l’evoluzione dei temi in questi 125 anni di storia del cinema, e quella più lunga della letteratura, risalendo dal feuilleton ai poemi omerici, ci dimostrano come le società umane abbiano bisogno di narrazioni popolari sui grandi conflitti della propria epoca. La narrazione dell’Antropocene è con ogni probabilità quella definitiva, che guarda dritto negli occhi l’apocalisse non come potenzialità ma come probabilità. Ed è, allo stesso tempo, la più agnostica di sempre, perché non può permettersi il lusso di affidare la soluzione dei propri intrecci a esseri ultraterreni. Il deus ex machina non funziona, e nemmeno i supereroi se non diventano terreni e non entrano in risonanza con Madre Terra (Eternals, 2021).

Per arrivare al 2050 avremo bisogno di un cinema dell’ottimismo della ragione, ma che non nasconda la CO2 sotto il tappeto, che sfidi l’ignoranza scientifica ma senza diventare tecnocratico, che abbia la forza della denuncia senza far voltare altrove il suo pubblico, che proponga un nuovo patto fra uomo e natura. Soprattutto di un cinema che non abbia bisogno di diventare dottrina, propaganda o manifesto, ma che faccia quello che ha sempre fatto: intrattenere il suo pubblico. E, intrattenendolo, lasciare che si rispecchi nelle sue ecovisioni.


Quanto inquina un film?

[…] Una volta prodotto, il film va in sala. E i cinema come stanno? Tenere le sale calde d’inverno e fresche d’estate richiede un enorme consumo energetico. Quasi un terzo delle entrate di un cinema se ne va per tenere gli spettatori a una temperatura confortevole. Poi ci sono le luci, che grazie alle lampade a led sono diventate meno energivore solo negli ultimi anni, e i proiettori stessi, che per “sparare” il film sullo schermo devono avere lampade molto potenti.Avere quindi un cinema con un impianto di raffrescamento efficiente, con mura, porte e finestre che non vanifichino il lavoro di condizionatori, caldaie e pompe di calore è fondamentale. Per fare un confronto, il set di un film le cui riprese durino circa due mesi ha un impatto di circa 19 tonnellate equivalenti di anidride carbonica. Una sola sala cinematografica, con un solo schermo, impatta in media per 4,9 tonnellate in un anno; basta già una multisala di piccolissime dimensioni, con quattro schermi per esempio, per avere lo stesso impatto di un film. Moltiplicate queste emissioni per il numero delle sale (nel 2019 Cinetel ne contava, per difetto, 3.452, per un totale di 1.218 cinema) si arriva a quasi 17.000 tonnellate di CO2. Da un’indagine svolta da GSE, ANEC e Green Cross Italia, è risultato che il 68% del campione di sale italiane a settembre 2021 non aveva fatto nessun intervento di efficientamento energetico negli ultimi tre anni. Nel 2022, però, un bando del Ministero della Cultura, attraverso i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha messo a disposizione 100 milioni di euro per la riqualificazione delle sale, e hanno risposto centinaia di gestori e proprietari in tutto il paese.

[…]

Nel testo ormai ampiamente diventato un classico dell’ecocritica, Green Screen (cit.), già qualche decennio fa David Ingram invitava a riflettere anche su tutto quello che è a corollario di un film, in particolare, per le grandi produzioni, tutta la gadgettistica e i prodotti in franchising. Lo faceva notare, per esempio, a proposito dei film Disney considerati come i più green di sempre, come Il re leone o Wall-E, che, se sullo schermo criticavano esplicitamente stili di vita e consumi insostenibili, poi, nei fast food, nei supermercati e in ogni dove distribuivano invece prodotti effimeri di consumo con l’effigie di personaggi che si presumeva fossero portatori di valori opposti. Questo esempio ci conferma che l’opera cinematografica non è una monade isolata, ma che si tratta di un momento di una filiera produttiva, di un’ecologia di processi che, a loro volta, appartengono a un sistema ecologico ancora più ampio, con il quale interagiscono. Come tutti i processi umani, i film impattano sull’ambiente ma, come racconta questo libro, possono contribuire a migliorarlo. Nessun libro è stato stampato senza abbattere all’origine un albero, ma molti libri hanno aiutato a salvare foreste. Lo stesso vale per i buoni film.

Uscita:
ISBN:9788866273554
Pagine:320
Formato:15x23
Stato:pubblicato

Prezzo: 21 €

Prezzo: 19.95 €

Nella mia carriera ho girato più di 180 film, e questo è il mio lavoro e la mia vita, ma ho sempre voluto trovare anche il tempo di rivolgere la mia attenzione al sostegno di quelle battaglie che sono necessarie: quelle umanitarie, per il diritto alla salute, per i bambini, contro l’omofobia, per la cura dell’Aids e, ovviamente, quelle ambientali. Sono convinta che ciò che facciamo e diciamo noi artiste e artisti del cinema possa avere un peso importante nello spiegare questi problemi alle persone, per convincerle ad agire. A volte bastano poche azioni, spesso anche una sola, per ottenere grandi risultati.

dalla prefazione di Claudia Cardinale


È molto utile e molto attuale la completa e appassionata rassegna con cui Marco Gisotti ricostruisce la sensibilità ai temi ambientali del cinema mondiale. Colpisce che il cinema, forse per la sua genetica vocazione all’emozione collettiva, abbia fin dall’inizio saputo esprimere un’attenzione, poi una trepidazione e infine un allarme per il destino della nostra specie su questo pianeta. Colpisce più ancora, però, che l’industria del cinema abbia invece tardato tanto a porsi il problema del proprio impatto ambientale, e che ancora oggi fatichi a darsi dei seri protocolli di comportamento per la sostenibilità delle produzioni audiovisive.

dalla prefazione di Carlo Cresto-Dina

Marco Gisotti

Giornalista e divulgatore, è docente all’Università di Tor Vergata, con Valerio Rossi Albertini, nel corso di Teorie e linguaggi della comunicazione scientifica; è uno dei maggiori esperti di green economy, lavori verdi e comunicazione ambientale.

Nel 2012 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ha lanciato con Green Cross il premio Green Drop...

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