Digitale e sostenibile: si può fare?
Qui in redazione ci ha lasciati un po’ stupiti la lettura di due pagine della neonata Strategia nazionale per l’economia circolare. Due pagine in cui si parla di token e blockchain.
Siamo un paese dove, nonostante l’involontaria spinta del Covid – con la sua digitalizzazione forzata a carico in grandissima parte dalle famiglie – il divario digitale è lontano dall’essere superato. Secondo il più recente rapporto Auditel-Censis, sono 2,3 milioni le famiglie che risultano totalmente prive di connessioni alla rete (sia mobile phone, sia connessione domestica). Problemi di territori, di burocrazie, di mercato, ma soprattutto di disuguaglianze sociali. Anche per questo il riferimento a strumentazioni come quelle citate ci ha dato l’impressione di un salto in avanti un po’ forzato o, peggio, di due cose buttate lì per darsi un’immagine smart.
Quello che si prospetta in quelle due pagine della SNEC è però indubbiamente interessante: tracciabilità, promozione di comportamenti virtuosi, coinvolgimento dei consumatori/utenti, produzione collettiva di feedback e dataset funzionali al miglioramento di prodotti, servizi, processi. Ottimo. Se procedesse in modo ugualmente smart l’adozione di regolamenti end of waste per tutte quelle frazioni di materie (attualmente considerate rifiuti) che potrebbero alimentare i cicli circolari nell’economia nazionale sarebbe perfetto. Sarebbe.
Ma la domanda è: il ruolo delle tecnologie digitali e di intelligenza artificiale nel facilitare la gestione di problematiche complesse – come sono quelle cui si trova di fronte ogni progetto che voglia procedere sulla strada della transizione ecologica – può essere determinante? A quali condizioni? Con quali obiettivi? Come fare ad avere un rapporto costi-benefici (non solo economici) positivo, un ideale modello win-win?
Il settore agroalimentare e l’intera filiera del cibo possono essere un campo di applicazione decisivo per effettuare un test del genere. Food System 5.0, il libro di Alex Giordano di prossima uscita, prova a fornire delle risposte in cui l’elemento chiave è la collocazione delle tecnologie all’interno di un modello culturale di riferimento, dotato di solide radici che da questo connubio possono uscire rafforzate. Effetti del cambiamento climatico e sconvolgimenti geopolitici stanno rivelando l’estrema fragilità del sistema agroalimentare, individuato peraltro come quello la cui transizione verso obiettivi di sostenibilità potrebbe dare un apporto positivo su tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Inclusa tra questi la protezione e ripristino della biodiversità, l’“elefante nella stanza” tra le aree di crisi ambientale a livello globale.
Un tema, quest’ultimo che soffre di un vero e proprio gap di conoscenza diffusa. Valeria Barbi, autrice di Che cosa è la biodiversità oggi, riesce nel non facile compito di rendere accessibile un concetto troppo poco compreso e, nello stesso tempo, di dare un senso a quell'“oggi” che abbiamo voluto includere nel titolo. Se nella comunicazione attraverso i media generalisti i rischi di estinzione di specie “iconiche” – dalle api alle tigri – sono cosa relativamente nota, poco si sa di quanto quel termine, biodiversità, ci riguardi e sotto quante forme. Molta della qualità del libro risiede anche nel modo in cui l’autrice sviluppa un percorso che porta il lettore a scoprire la biodiversità e, infine, le multiformi minacce a cui oggi la sottoponiamo. Un percorso fatto anche di frammenti di racconti di viaggio, di esperienze personali, di interviste.
E scoperta non è una parola fuori luogo se si parla di biodiversità, considerando come le stime attuali indichino che le specie descritte dalla scienza rappresentino una parte, forse persino minima, della diversità presente sul pianeta. Proprio la spinta alla scoperta è all’origine dell’avventura a cui Valeria Barbi si accinge, un viaggio attraverso le Americhe alla ricerca di storie di protezione e rigenerazione della biodiversità, in cui noi umani in qualche modo riacquistiamo un ruolo di componente non distruttiva dell’ecosistema.
Immagine: Note Thanun (Unsplash)