L’ecofemminismo necessario
Intervista a Silvana Galassi
Ambientalismo e femminismo sono fra gli “ismi” più urgenti e necessari del nostro tempo, ma quasi mai ci capita di sovrapporli. Pensiamoci bene: sentiamo parlare ogni giorno delle battaglie per l’ambiente, così come di quelle per la parità di genere. I dibattiti si infiammano al grido di “women empowerment” e “giustizia climatica”, ma difficilmente queste voci si incontrano sotto un unico stendardo. Eppure un nome li riunisce – un movimento che ne fa un discorso unitario – c’è.
È l’ecofemminismo, ma in pochi sanno di cosa si tratta esattamente.
Ne abbiamo parlato con Silvana Galassi, professoressa di Ecologia della Nutrizione e di Ecotossicologia all’Università degli Studi di Milano e autrice di Dalla parte di Gaia. Teorie e pratiche di ecofemminismo, fra le ultime novità in casa Edizioni Ambiente.
Nella maggior parte dei casi gli “ismi” non piacciono. Una desinenza sgradita spesso legata ad assoluti e a idee estreme. È successo lo stesso anche con il femminismo, termine per qualcuno ormai desueto, per altri legato ad accezioni negative. Perché, secondo lei, abbiamo ancora bisogno di ampliare il discorso, parlando di ecofemminismo? Quanto è attuale e ancora necessario questo termine coniato negli anni Settanta?
Se pensiamo a parole come buddismo e marxismo non possiamo certo dire che la desinenza -ismo conferisca un’accezione negativa alla radice. Nel caso del femminismo, credo che le sue protagoniste e le sue studiose diano un significato positivo agli studi rivolti a comprendere le cause delle discriminazioni di genere e ai movimenti per ottenere la parità dei diritti. Chi legge questo -ismo con un’accezione negativa fa parte della componente paternalista (e qui sì che la desinenza va intesa in senso negativo) delle società, che vorrebbero opporsi a questi cambiamenti. Fino a quando la parità di genere non sarà pienamente acquisita e non saranno riconosciuti anche i diritti della natura ci sarà ancora bisogno di femminismo e di ecofemminismo.
Facciamo chiarezza per i lettori che non hanno letto il suo libro. Cosa si intende per ecofemminismo e quante correnti esistono?
Il termine ecofemminismo comparve per la prima volta in un saggio del 1974 di Françoise d’Eaubonne intitolato "Le féminisme ou la mort". Sosteneva che nelle società patriarcali esiste un parallelo tra il dominio dell’uomo sulla Natura e quello sulla donna. E che devono essere le donne le protagoniste del cambiamento necessario per riconciliare le società umane con la Natura perché la visione maschile stava portando alla sua distruzione. A quasi mezzo secolo dalla sua nascita l’ecofemminismo risulta ora molto variegato. Le eco femministe culturali/spirituali, pur non essendo ancorate ad alcuna religione in particolare, celebrano il legame della donna con la Natura, rifacendosi agli antichi miti in cui si esalta la capacità generatrice del corpo femminile. Le eco femministe socialiste o materialiste si battono contro lo sfruttamento del lavoro di cura al quale non viene attribuito alcun valore economico e vorrebbero abbattere le gerarchie sociali che discriminano le donne. Le liberali reclamano pari opportunità ma non mettono in discussione il modello capitalista della società alla quale appartengono. Ma nel mio libro parlo anche delle ecofemministe "di fatto" che hanno portato avanti le battaglie per salvare l’ambiente e tuttora lo fanno con sensibilità che sono prevalenti nel genere femminile.
Perché, pur vivendo in tempi critici sia per i diritti sia per l’ambiente, si sente parlare ancora poco di ecofemminismo?
Me lo sono chiesta anch’io e le ragioni potrebbero essere molte. Da ecologa mi viene da pensare che dal punto di vista delle elaborazioni teoriche il mondo delle umaniste (sociologhe, psicologhe, antropologhe, storiche) che hanno studiato l’ecofemminismo è ancora troppo separato da quello delle ecologhe e che l’ecologia è ancora poco presente nella nostra società. Non parlo di amore per l’ambiente in astratto ma di conoscenze in campo ecologico, perché l’ecologia non è un sentimento ma una disciplina scientifica.
Già dalle illustrazioni in copertina, “Dalla parte di Gaia” si presenta come una galleria di ritratti. Fra le tante pensatrici, attiviste ed esperte in tutto il mondo, chi ha scelto di “ritrarre” e perché?
Ho cercato di fare un viaggio nel tempo e nello spazio per cercare di rintracciare le figlie ribelli di Eva che fin da tempi molto remoti fecero la scelta di un rifiuto radicale del ruolo a loro attribuito dalla società e di recupero del rapporto con la natura. Poi ho cercato di capire dove, quando e perché è nato l’ambientalismo moderno. Le eroine che in solitudine o alla testa di movimenti organizzati si sono schierate in difesa della Natura lo hanno fatto con motivazioni e modalità differenti, legate alla propria condizione sociale, credo religioso, cultura e alle condizioni ambientali in cui erano cresciute. Tra loro ho scelto quelle che mi sembravano più rappresentative, ma sicuramente ne ho trascurate molte. Esistono tanti modi di essere ecofemminista e molte non sanno neppure di esserlo.
Purtroppo il divario di genere nelle discipline STEM rimane enorme. Tuttavia, almeno in Italia, una statistica ribalta le aspettative. Fra gli iscritti ai corsi di laurea di scienze ambientali e naturali ci sono più ragazze che ragazzi. Come spiega questa tendenza?
Per portare acqua al mio mulino, dovrei rispondere che le ragazze hanno un feeling maggiore per tutto quello che riguarda la natura. In parte credo sia vero e il fatto che nelle piazze dove hanno manifestato i Friday for Future, seguaci di Greta Thunberg, hanno contato più ragazze che ragazzi sembra dimostrarlo. Tuttavia, un’altra ragione potrebbe consistere nel fatto che le ragazze, pur ottenendo ottimi risultati scolastici alle scuole medie e superiori non hanno ancora sufficiente fiducia nelle proprie possibilità e preferiscono optare per lauree considerate meno ‘dure’ di ingegneria o di fisica pensando che in futuro forse dovranno ancora conciliare casa e lavoro. Le scienze naturali e ambientali sono le più ‘umaniste’ tra le discipline scientifiche.
Immagine: Lindsey LaMont (Unsplash)