Lo schwa, o delle scelte e delle rinunce
“Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno”. Così Primo Levi, in uno degli articoli confluiti nel volume L’altrui mestiere (Einaudi, 1985).
Forze di riproduzione
Per una ecologia politica femminista
Stefania BarcaUn discorso, il suo, che si può applicare, e che andrebbe applicato, a qualsiasi ambito dello scibile che veda coinvolta la comunicazione di un’informazione, di un concetto, di un’idea in forma scritta. Un discorso di cui ogni operatore culturale deve tenere conto, incluso un editore.
Quindi, un discorso che, tra i tanti, ha toccato molto da vicino la fase redazionale del volume Forze di riproduzione di Stefania Barca, uscito nel 2024 ed edito da Edizioni Ambiente. Un libro che rappresenta un vero e proprio manifesto di ecologia politica, che tra materialismo storico ed ecofemminismo inquadra le forze di riproduzione non come mera astrazione del genere femminile, né della classe contadina o dei popoli indigeni, bensì come un vero e proprio concetto politico.
Un libro che, “rispondendo all’urgenza di giustizia narrativa, […] elabora una critica femminista delle narrazioni egemoniche sulla crisi ecologica, mostrando come esse si basino sulla normalizzazione delle diseguaglianze e sulla svalutazione del lavoro riproduttivo e di cura, e come quest’ultimo costituisca una forza in grado di cambiare il sistema” (così uno dei paratesti a corredo del volume).
La pubblicazione originale è in lingua inglese, che dal punto di vista morfosintattico è ben meno analitica dell’italiano, che, a differenza dell’inglese (tra le tante differenze), distingue il genere grammaticale tramite desinenze che identificano il maschile e il femminile grammaticale. Una differenza di non poco conto.
Nel 2024, un editore che vuole pubblicare in Italia un libro come Forze di riproduzione si pone tante domande e sfide. E, se in fase iniziale di redazione la volontà editoriale è stata quella di restituire l’opera eliminando il “maschile universale”, sovraesteso, ricorrendo all’utilizzo della vocale media centrale “schwa” (identificata dal grafema “ə”), procedendo nella lavorazione è diventato evidente fin da subito che questa soluzione, ideale e coerente rispetto a quanto l’opera si prefigge di portare avanti, avrebbe spezzato il ritmo della lettura e potenzialmente, in un climax ascendente di importanza e di pericolosità, la comprensione totale delle tesi proposte da Barca. Un rischio non da poco.
Domande e dubbi sono fioriti quindi in modo naturale: cosa fare? Quale scelta privilegiare? Seguire fino alla fine la linea di pensiero utilizzando lo schwa, e sacrificare quindi parte dell’immediata comprensibilità da parte del lettore e per estensione la diffusione da un lato dell’opera (una mossa rischiosa per un editore) e dall’altro delle tesi che questa cerca di portare avanti? Oppure puntare al compromesso, e cioè utilizzare forme concettualmente “neutre” rispetto al referente (ricorrendo al lessico e supplendo con la sintassi) ogniqualvolta possibile e in extremis il maschile universale per favorire la diffusione del volume, delle idee di cui questo è promotore?
La scelta è ricaduta sulla seconda ipotesi. Una scelta che potrebbe concretarsi in un apparente e forse semplicistico paradosso, ma che pur tale rimane: rinunciare a una parte del sistema culturale per diffonderlo più possibile. Una scelta, e quindi una rinuncia, di cui si (ri)conoscono almeno in parte presupposti e implicazioni:
“Un libro si scrive proprio perché il suo contenuto venga letto e se possibile anche da chi non è già al corrente o d’accordo con le tesi in esso sostenute. Quanto le avrebbe rafforzate l’uso dello schwa e quanto invece avrebbe potuto disincentivare potenziali lettori? Alla fine la scelta, di cui come editori ci assumiamo la piena responsabilità, è stata quella di privilegiare la leggibilità, anche se sul significato culturale e politico della de-maschilizzazione della lingua siamo d’accordo con l’autrice. In un mondo editoriale ideale un libro come questo si dovrebbe poter offrire in due versioni, con e senza schwa. Non ce lo possiamo permettere, ma siamo consapevoli del problema. Seguiremo con attenzione lo sviluppo di questo processo e degli strumenti con cui attuarlo. Per ora, ci sembra che l’impiego dello schwa sia ideale per testi brevi, ma non altrettanto per una lettura prolungata come è quella a cui ti impegna un libro”.
Questo frammento proviene dalla nota dell’editore che apre il volume di Stefania Barca, e lascia poco spazio alle interpretazioni: siamo d’accordo e anzi promuoviamo la linea di pensiero dell’autrice, l’ideologia e le tesi di cui lei e la sua opera sono portavoce, ma siamo anche consapevoli dell’andamento del mercato editoriale da un lato e soprattutto, dall’altro, di quanto sia di fondamentale importanza fare di tutto per far sì che la cultura, e questo specifico spaccato di cultura più di altri, venga diffusa più possibile, nel modo più efficace possibile, in meno tempo possibile.
Quindi: scegliamo, rinunciando. Scegliamo di rendere più fruibile un libro, rinunciando a livello operativo alla de-maschilizzazione grammaticale della lingua. Scegliamo di aderire alle norme dell’italiano standard utilizzando referenti neutri fin dove possibile o in extrema ratio il suo maschile universale, rinunciando, solo in superficie, a inserirci nel magmatico dibattito sociolinguistico sullo schwa. “Solo in superficie”, appunto, perché la rinuncia allo schwa, matura e ragionata, e l’utilizzo sistematico di forme più neutre possibile hanno portato a una presenza davvero minima del maschile universale e hanno rappresentato una scelta oggettivamente antieconomica, complessa, onerosa; tuttavia responsabile, e di grande valore linguistico e culturale.
Scegliamo, forse, di non scegliere; tuttavia consapevoli, con l’umiltà necessaria che contraddistingue chiunque lavori nell’editoria, la curiosità e l’attenzione nei confronti di un mondo che nonostante macerie, passi falsi e assordanti silenzi si rinnova; con la speranza che libri come Forze di riproduzione raggiungano tante lettrici e tanti lettori, indipendentemente dall’impalcatura morfosintattica di riferimento.
“Intanto, buona lettura a tuttə voi”.
Immagine: Creative commons