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PuntoSostenibile

Una sfida epocale: la crescita verde

Intervista ad Alessio Terzi

a cura di Lucrezia Lenardon
pubblicato il 16/10/2024

Oggi il mondo si trova ad affrontare tre crisi planetarie interconnesse: la crisi climatica, la perdita di biodiversità e l'inquinamento. Gli effetti di questa triplice emergenza sono evidenti, dalle devastanti alluvioni che hanno colpito l'Emilia-Romagna nell'ultimo anno e mezzo, al fatto che, nel 2022, il 9% della popolazione mondiale viveva in condizioni di estrema povertà. Senza dimenticare il recente Living Planet Report del WWF, che riporta come, in appena 50 anni la dimensione media delle popolazioni globali di animali selvatici è calata del 73%. 

La crescita verde

Il futuro dell'economia nell'era del cambiamento climatico
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Disponibile anche in versione digitale

Molto spesso la crescita economica viene individuata come una delle principali cause delle crisi ambientali e sociali che stiamo affrontando. Ma è davvero così? Rallentare l'economia globale sarebbe una soluzione efficace per tutelare l'ambiente? O, piuttosto, dovremmo riformare il capitalismo, orientandolo verso i bisogni della società e del pianeta?

Alessio Terzi, economista presso la Direzione generale per gli affari economici e finanziari della Commissione europea e docente all'Università di Cambridge e a Sciences Po di Parigi, offre una prospettiva diversa nel suo libro La crescita verde. Il futuro dell'economia nell'era del cambiamento climatico. Terzi, accompagnando il lettore in un viaggio attraverso epoche e civiltà e mettendo in discussione alcuni pilastri della critica ambientale al capitalismo, propone la crescita economica non come ostacolo, ma come uno strumento utile per evitare la catastrofe climatica.

 

Qual è stata la motivazione principale che ti ha spinto a scrivere questo libro, e quale messaggio speri che i lettori possano trarre dalla sua lettura?

 

Partiamo dal messaggio. Quello che spero i lettori trarranno dal libro è l’idea che la transizione verde è una sfida epocale, ma al contempo c’è tantissimo che possiamo fare, come individui, come lavoratori, come innovatori, o come decisori a livello locale, nazionale, o europeo. Non è necessario attendere la rivoluzione perché si possano abbattere le emissioni di CO2 e procedere verso la neutralità climatica. 

Per quanto riguarda la motivazione, tutto è partito da discussioni con amici in vari momenti della mia vita. Ma siccome mi occupavo di crescita economica, e ho a cuore il futuro del pianeta su cui viviamo, più volte mi è stato chiesto perché la crescita economica fosse necessaria, perché ricevesse così tanta attenzione nel dibattito pubblico e sui giornali, cosa fosse veramente la crescita, e se fosse possibile conciliarla con la difesa della natura. Questo libro è la raccolta delle mie risposte a queste domande.

 

Ritieni che la decrescita e il rallentamento dell'economia possano essere soluzioni praticabili per affrontare le crisi attuali?

 

No. Si può giungere a questa conclusione anche solo in termini aritmetici. I paesi ricchi del G7 producono circa il 25% delle emissioni di gas serra. Di conseguenza, non solo non basterebbe la crescita zero dei paesi ricchi, ma anche ipotizzando di arrestare integralmente le loro economie (e quindi auto, industria, agricoltura, produzione, riscaldamento ecc.), riportando all’età della pietra USA, Francia, Giappone, Italia, Germania, Canada, e Regno Unito, ci sarebbe ancora un 75% di emissioni che continuano a contribuire al riscaldamento ulteriore del pianeta ogni anno. Al contempo, è impensabile chiedere a paesi emergenti (India, Cina, Brasile, Indonesia ecc.) di seguire questa ricetta di rallentamento economico, visto che i loro redditi pro capite restano bassissimi. Si deve quindi trovare un’altra soluzione.

 

Potresti spiegare in termini semplici cosa intendi per “capitalismo verde” e perché lo consideri una via percorribile per il futuro?

 

In termini semplici vuol dire che la transizione avverrà non solo grazie a politiche pubbliche, ma anche a iniziative private. E che le aziende coinvolte non lo faranno (solo, o principalmente) per compassione verso le future generazioni, ma perché si rendono conto prima di altri che ci sono opportunità di profitto coinvolte nel reinventare processi produttivi e prodotti in chiave green. Possiamo passare dal concetto astratto al pratico. Orsted produce pale eoliche, vendendole genera profitto ma al contempo ci aiuta a decarbonizzare la produzione di elettricità. Lo stesso per Northvolt che produce batterie. O Tesla che produce auto elettriche. Ma il concetto si estende anche all’economia circolare. Pensiamo a Vinted: una piattaforma che aiuta nella compravendita di vestiti di seconda mano. Nel farlo genera profitti, e al contempo riduce il consumo di acqua ed emissioni collegati alla fast fashion. 

A mio avviso saranno aziende come queste che aiuteranno a reinventare i processi produttivi in modo da garantire che cittadini e consumatori potranno continuare a beneficiare dei servizi che desiderano (e.g. un mezzo di trasporto che mi porti da A a B), ma con impatto ridotto per il pianeta. 

 

Nel libro dedichi un capitolo all'Italia senza crescita. Qual è il messaggio principale di quel capitolo e quale ruolo pensi che l'Italia debba assumere nel contesto europeo?

 

Nel libro uso l’Italia come monito per tutti quelli che sostengono che un paese ricco potrebbe stare benissimo a crescita zero, tanto è già ricco. L’Italia, con un alto reddito pro capite rispetto a tanti altri paesi del Sud Globale, dovrebbe essere un esempio virtuoso. E invece tutti noi sappiamo che il fatto che il nostro paese non cresce in termini reali da quasi tre decenni ha portato a tutta una serie di dinamiche negative, incluso l’esodo di giovani verso l’estero, una riduzione dei salari rispetto ad altri paesi europei, una riduzione dei soldi da investire nel futuro (inclusa la ricerca), un aumento del debito pubblico, un aumento delle tensioni tra regioni per la spartizione delle risorse e così via. 

L’Italia nel contesto europeo, ma anche della transizione verde, potrebbe avere un ruolo di leader. E dico questo perché a mio avviso la transizione richiederà una forte spinta sul manufatturiero: campo in cui l’Italia eccelle. Ma al contempo richiede innovazione e capacità di reinventarsi: una cosa che siamo bravi a fare in Italia a livello individuale ma poco a livello di Paese. 

 

Cosa comporterà una transizione verde per i posti di lavoro?

 

La transizione assomiglierà a una rivoluzione industriale, perché coinvolgerà sostanzialmente tutti i settori dell’economia. E sappiamo dalla storia che durante questi momenti di trasformazione, molti posti di lavoro saranno creati ma molti saranno distrutti. La difficoltà e duplice. Da una parte, cercare di essere leader nelle tecnologie del futuro, quindi a basse emissioni, in modo da assicurarsi che i posti di lavoro restino in Italia. Dall’altra bisogna accompagnare la transizione da un posto di lavoro a un altro. Molti lavoratori avranno bisogno di training per apprendere nuove competenze. 

 

Quali sono le sfide principali per rendere il capitalismo un sistema efficace nell’ambito della decarbonizzazione? 

 

La sfida maggiore è che il capitalismo, e quindi l’iniziativa privata, va indirizzato, altrimenti continuerà a innovare e generare nuovi processi e prodotti, ma non necessariamente più sostenibili. Per questo è necessaria l’azione di governo, tramite vari interventi di politica pubblica, che possono andare da regolamenti a tassazione delle emissioni, da politica industriale verde a investimenti pubblici in infrastrutture. Ma è anche necessario che i cittadini, che sono anche consumatori, siano sempre più attenti alla sostenibilità. Leggiamo le etichette, scegliamo i prodotti a più basso impatto, e mettiamo pressione sulle aziende perché diventino sempre più verdi.