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Ecomafia 2023

Intervista a Laura Biffi

di Paola Fraschini
pubblicato il 29/07/2023

Da quanto si apprende nel Rapporto Ecomafia 2023, redatto come ogni anno da Legambiente in collaborazione con le forze dell’ordine, nel 2022 non si arresta la morsa degli ecocrimini: 30.686 le illegalità ambientali registrate con una media di 84 reati al giorno. Parliamone con Laura Biffi, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente.

Ecomafia 2023

Le storie e i numeri della criminalità ambientale
a cura di 

Ci puoi spiegare come si fa un rapporto Ecomafia? Cioè: come si svolge il lavoro nei mesi che precedono l’uscita del rapporto?

Il lavoro di redazione è preceduto dalla raccolta dei dati, che vengono richiesti, all’inizio di ogni anno, alle Forze dell’ordine e alle Capitanerie di Porto. Abbiamo ormai un rapporto di collaborazione consolidato con i comandi generali che, sulla base di formulari messi a punto appositamente per il Rapporto Ecomafia, ci forniscono le informazioni per quanto attiene ai "settori" dell’illegalità ambientale. I numeri, una volta elaborati dall’ufficio Ambiente e Legalità, sono la base del racconto e dell’analisi dei fenomeni criminali, che si completa con le storie di cronaca e giudiziarie, con i report istituzionali in materia, con i focus su alcuni temi di rilevanza emergente. Da un po’ di tempo, siamo in grado di analizzare anche il dato giudiziario dei procedimenti penali in materia ambientale, grazie ai dati della Corte di Cassazione.

Rispetto alle edizioni passate, qual è il dato più interessante del Rapporto 2023?

L’analisi di Ecomafia 2023 si sofferma, in particolare, sul tema dei traffici internazionali. L’analisi e il contrasto ai reati transfrontalieri sono affrontati anche da due contributi che arricchiscono l’ultima edizione del Rapporto: quello dell’Agenzia delle accise, delle dogane e dei monopoli, che fa una disamina dettagliata delle tipologie di rifiuti e materie e dei flussi commerciali; e quello del Comando Carabinieri per la tutela ambientale e la transizione ecologica, che pone l’accento sugli strumenti normativi in ambito europeo e sulla necessità di una più organica e stringente tutela penale dell’ambiente per ridurre lo spazio di manovra della criminalità sia a livello comunitario che verso i paesi Terzi. In questa direzione, seguiamo con attenzione l’iter della riforma della direttiva europea del 2008 sui reati ambientali.

Chi vince nella classifica annuale delle filiere illegali, dei principali reati contro l’ambiente e delle regioni maggiormente colpite?

Il ciclo illegale del cemento domina la classifica dell’illegalità ambientale, sfiorando il 40% del totale dei reati contestati a livello nazionale. Parliamo di appalti illeciti, di cave e di infiltrazioni mafiose nell’edilizia. Ma, soprattutto, ci riferiamo alla piaga dell’abusivismo edilizio, reato ancora in voga stante la quasi impunità per chi lo commette, perché le demolizioni degli abusi si fanno con il contagocce e i tentativi di varare nuovi condoni sono invece all’ordine del giorno e danno impulso alla realizzazione di nuovi abusi. La seconda "filiera" per numero di reati accertati è quella degli animali, dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette e dei cuccioli, per arrivare agli allevamenti fuorilegge e alle corse clandestine di cavalli.

Le regioni più colpite dall’ecomafia sono Campania, Puglia, Sicilia, Lazio e Calabria, che sommate concentrano il 48,4% dei reati. Subito dopo, si piazza la prima regione del Nord, la Lombardia.

Cosa fare per contrastare l’attività delle ecomafie? Informazione, repressione, cultura: e poi?

Legambiente è convinta che accanto alla denuncia debba sempre esserci anche la proposta. Per questa ragione non smette di chiedere alle istituzioni, Parlamento e Governo in testa, di intervenire per migliorare alcune leggi e di approvare quelle necessarie per colmare alcuni importanti vuoti normativi. Perché la repressione dei reati ambientali deve contare su strumenti efficaci e su un sempre migliore coordinamento tra forze dell’ordine, anche tra quelle dei differenti Paesi, vista la dimensione crescente dei traffici illeciti internazionali.

A che punto è l’Italia in fatto di tutela ambientale?

Dicevamo dell’attività repressiva. Su questo fronte, siamo certamente un Paese all’avanguardia. Nella lotta alla criminalità ambientale abbiamo messo a regime un sistema di norme e attività di indagine che supera di gran lunga quella presente nel resto d’Europa. In ultimo, la legge 68 del 2015, per cui Legambiente ha lavorato vent’anni. Riconoscendo alcune fattispecie di reato come delitti da codice penale, ha finalmente introdotto nuovi e più incisivi strumenti per investigatori e magistrati. Ma tutto questo, da solo, non risolve il problema. È necessario assicurare un apparato di controlli capace di un’efficace lavoro di prevenzione. Un sistema che, a oggi, ancora manca. Per questo, anche all’attuale Ministero dell’ambiente chiediamo l’emanazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016 che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) e il potenziamento dell’organico per garantire i controlli sulle opere previste dal PNRR.

Immagine: Ari Spada (Unsplash)