Bella storia le costruzioni!
Oggi Marco Caffi è riuscito a realizzare una analoga e unica sintesi sullo stato di fatto e le prospettive di evoluzione di un settore che deve fare i conti con uno dei suoi principali impatti: il consumo di risorse materiali. La penetrazione dei concetti e delle strategie proprie dell’economia circolare nel settore delle costruzioni sta cambiando le regole del gioco. E il libro riesce a offrire di nuovo uno scenario completo che spazia dalle norme alla digitalizzazione, dalle tecnologie ai progetti, dalle tecniche e gestione del cantiere ai materiali e alla finanza. Lo regalerei perché non ce n’è altri così, sarà a lungo il libro riferimento, bello, utile, frutto di un lavoro enorme che forse nessun editore e nessun curatore si sarebbero intestarditi a portare a termine, con la complicità di tanti validi contributors.
Leggere per credere. Per voi la storia di un edificio temporaneo, il People’s Pavilion, che utilizza parti costruttive reperite da società disposte a lasciarle in dotazione per un periodo limitato per poi ritirarle e reimpiegarle nuovamente. “‘Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma’. Il postulato di Lavoisier è fondamentale nella meccanica classica. Ed è il pilastro che sorregge il progetto del People’s Pavilion di Eindhoven del 2017. Pensato come installazione centrale per la Dutch Design Week di Eindhoven, l’edificio è stato realizzato da Arup in collaborazione con Dutch architects Overtreders W e Bureau Sla con materiali ‘presi in prestito’. ‘Abbiamo richiesto le parti che ci servivano alle aziende che abbiamo individuato e poi le abbiamo restituite dopo dieci giorni’ spiega Edwin Thie, design manager della società. ‘Possiamo dire che la struttura non ha creato alcun rifiuto’. Obiettivo del progetto era sperimentare una nuova forma di progettazione, che potesse garantire uno sviluppo futuro dell’industria del design con una maggiore attenzione per i materiali e per la riduzione degli sprechi. ‘All’epoca si parlava poco, ancora, di economia circolare’ prosegue Thie, ‘e raggiungere quella che successivamente sarebbe stata definita impronta zero è stato molto soddisfacente per tutto il team. Per una struttura temporanea come quella richiesta in questo caso, poi, credevamo che un impatto il più ridotto possibile fosse importante, così che alla fine dell’evento tutto potesse tornare come prima’. In mancanza di un marketplace di scambio, progettisti e costruttori hanno dovuto compiere ricerche diffuse per rintracciare materiali adeguati e trovare aziende e altre figure che potessero fare da fornitori con un accordo di prestito. ‘Sapevamo che gran parte del progetto doveva essere realizzato in legno’ aggiunge Thie. ‘La ricerca è partita da lì: avevamo bisogno di società che volessero partecipare per poi ritirare il legname in un secondo tempo. Poi, ci servivano tutte le altre parti, dal tetto alle coperture in vetro, che abbiamo trovato presso un’azienda che costruiva serre. Gran parte dello sviluppo di questo progetto è stata investita nello studio dei fornitori’. Una reale svolta c’è stata quando il team è entrato in contatto con alcuni elementi ricavati dalla dismissione e demolizione di altri edifici. Una volta usati, tuttavia, i materiali avrebbero dovuto essere restituiti integri e non alterati. Con una superficie di 250 m2, l’edificio poteva ospitare tra le 200 persone con posti seduti e le 600 persone in piedi: poter accogliere un pubblico di questo livello senza danneggiare i materiali impiegati era la reale sfida. Per questo il team progettuale ha dovuto ripensare le tecniche di assemblaggio e i giunti tradizionali, eliminando colle, viti, bulloni e chiodi. La soluzione proposta da Arup comprendeva una struttura principale costituita da un telaio in legno legato a colonne con connessioni a secco. Cinghie di acciaio hanno consentito di rendere più lunghe le travi standard impiegate, che avevano una lunghezza variabile tra i 240 e i 480 cm. Dodici pali da fondazione prefabbricati alti 7 m sono stati usati come colonne e una serie di tiranti in acciaio sono stati prelevati da un edificio demolito per realizzare i controventi trasversali. L’intera struttura è stata legata con cinghie abbastanza forti da resistere anche in condizioni di forte vento. Nel corso del processo, sono state testate diverse configurazioni per determinare quale fosse l’asset più stabile e tutti i materiali sono stati valutati nelle loro performance con esperimenti condotti in collaborazione con la Eindhoven University of Technology. Unica parte realizzata ad hoc: il rivestimento esterno, costruito con scandole di plastica colorata recuperata attraverso un riciclo di rifiuti, da parte degli abitanti della città, ordinati per colore. In questa maniera è stato possibile creare le componenti che, accostate le une alle altre, hanno dato forma a una pelle geometrica e policromatica. Al termine della settimana del design, poi, quando la struttura è stata disassemblata, queste scandole sono state donate ai cittadini, come souvenir di un esperimento riuscito e come “attestato di partecipazione” al progetto. Se inizialmente i progettisti avrebbero voluto trovare un nuovo impiego anche per queste componenti, in realtà, da qui è nato un nuovo processo di riciclo dei rifiuti in plastica per ottenere scandole adeguate alla vendita e all’uso professionale. Dove il reimpiego non è stato possibile, tuttavia, il progetto ha rappresentato il punto di inizio di un circolo virtuoso. Tutte le altre componenti hanno trovato un nuovo uso. ‘Alcuni elementi come le pareti e i tetti in vetro sono tornate ai fornitori’ prosegue Thie, ‘ma per il legno occorreva un passaggio in più. I fornitori hanno ritirato le travi che abbiamo usato come ci erano state date e le hanno tagliate in porzioni ridotte, conformi alle misure comuni nella vendita, per proporle al mercato al dettaglio. I pilastri in cemento, invece, sono rientrati nel ciclo di vendita classico, e sono stati impiegati per le strutture per cui erano stati pensati. Sostanzialmente, in questo caso, il Pavilion è stato solo una breve deviazione’. Tutto il mondo delle fiere, delle esposizioni, dei saloni, ma anche di quelle manifestazioni, eventi o iniziative che richiedono strutture solo in via temporanea: le occasioni per cui vengono progettati edifici o altri spazi chiusi che sono utilizzati per un periodo di tempo limitato sono moltissime. Basarsi sulla logica tradizionale dell’edilizia non è una strategia vincente, perché non considera l’impatto di tutto il processo produttivo. Il People’s Pavilion è un esempio di schema facile da costruire e de-costruire. Per dare la giusta risonanza a questo progetto, ‘occorreranno, oltre ai marketplace di scambio che sono già in opera’ conclude Thie, ‘sempre più magazzini in cui depositare, prendere e riportare questi materiali, con cataloghi e schede della materia prima ben strutturati. Per noi sarebbe stato prezioso in fase di reperimento degli elementi costruttivi’. Scardinare il paradigma culturale legato alla progettazione per un unico fine è complesso. Soprattutto nel caso di edifici non temporanei, per cui i principi da seguire sono la durabilità e la robustezza. Tuttavia, anche in questo caso, occorrerà sempre di più, per ridurre scarti e rifiuti, ragionare in ottica di economia circolare. Per considerare l’impatto del progetto nel suo intero, dalla culla alla tomba.”