PuntoSostenibile

La fine del progresso (ma quale?)

di Marco Moro
pubblicato il 24/01/2025

In questi giorni, e la cosa andrà avanti di sicuro per un bel po’, stiamo leggendo valanghe di commenti, analisi e scenari su quanto il nuovo presidente degli Stati Uniti dice, fa, dice che farà, e sulle possibili conseguenze.

Tante analisi puntuali su aspetti specifici, come quella di Sergio Ferraris che riportiamo in questa uscita della nostra newsletter, o su prospettive più ampie. Prevalgono, e giustamente, le letture più negative di ciò che sta succedendo, anche se la rielezione di The Donald non è che il più recente episodio di un processo in corso da anni e che vediamo bene in azione anche in contesti molto più prossimi a noi. Anche troppo vicini.

Esiste – ed essendo necessariamente più complessa ha ovviamente minore spazio mediatico – una lettura che cerca di distinguere tra ciò che, allo stato attuale delle cose, nelle parole o negli atti della nuova presidenza corrisponde a qualcosa di concreto, qualcosa che in effetti può portare a cambiamenti sostanziali, e altre cose che appartengono maggiormente all’ambito del marketing politico ma non hanno reale possibilità di incidere.  Le fonti dove trovare analisi lucide e documentate, in un senso o nell’altro, sono già moltissime e non è certo questa la sede per scendere nei dettagli di ciò che si svilupperà da adesso per i prossimi anni di presidenza Trump.

C’è però senza dubbio un ambito in cui, che si tratti di politiche reali o bufale a favore della pancia degli elettori, quello che succederà avrà un impatto devastante. Faccio fatica a trovare un termine unico per individuare questa vittima predestinata del trumpismo globale: potrei parlare di “sfera pubblica” secondo la definizione che Roman Krznaric, nel suo nuovo libro di imminente uscita, riprende da Habermas. L’autore di Come essere un buon antenato in questo suo nuovo lavoro racconta di come la nascita e il diffondersi delle caffetterie nell’Inghilterra del Settecento avesse creato un luogo di dialogo e confronto tra persone, anche di collocazione sociale nettamente diversa. Una specie di spazio di dibattito democratico che permetteva in primis la condivisione di informazioni e in secondo la formazione di idee, di opinione pubblica in altre parole. Ecco, è questo l’ambito che secondo me, già vittima di anni di esplicita e intenzionale (progettata direi) svalutazione della cultura, della conoscenza in tutte le sue forme, subirà sicuramente un ulteriore degrado. Se il luogo di formazione dell’opinione pubblica sono i social network, la politica ne adotterà, e lo ha già fatto, contenuti (facilmente orientabili da chi può averne interesse) e linguaggio. E qui già ci siamo arrivati da un pezzo. Non dobbiamo guardare per forza agli Usa per accorgercene: un generale abbassamento del livello culturale di un Paese è il perfetto ingrediente per quello che stiamo vedendo, ossia che il secondo ambito fortemente a rischio è la democrazia, almeno nella forma, seppure imperfetta, che abbiamo conosciuto in questa parte di mondo. Terza vittima è quell’elemento essenziale tanto all’interno di una singola comunità quanto a livello internazionale, soprattutto quando si deve, o si dovrebbe, fare fronte a fenomeni che solo a scala globale possono essere efficacemente affrontati: la solidarietà. Tra tutte le parole evocate fin qui, sicuramente quella che appare più fuori dal tempo, relitto di un qualche passato il cui ricordo è evanescente.

Non è finita affatto la storia quindi, come vaticinava Francis Fukuyama nel 1992, ma anzi l’idea dei “corsi e ricorsi storici” sembra decisamente più valida. Più digitali e meno analogici, ma direi che siamo tornati a qualcosa che ricorda per molti aspetti gli anni Trenta del secolo scorso.

C’è chi, meno spericolato di Fukuyama (fare i futurologi è dura…) e più consapevole di quanto sopra elencato parla oggi di una possibile “fine del progresso”. E a questo punto, per chiudere, la domanda è: ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di progresso? Ci siamo mai fatti qualche domanda sul fatto che ciò che intendiamo come progresso, per esempio, non sia di beneficio per tutti? E non sia nemmeno compatibile con l’equilibrio dell’ambiente che, almeno per come siamo fatti adesso, ci permette di vivere?

Interrogativi a cui i nostri libri, di risposte ne danno. Parecchie.

Immagine: Interno di una caffetteria londinese del XVII secolo (Wikimedia Commons)