PuntoSostenibile

L'era dell'Aporocene

di Sergio Ferraris
pubblicato il 22/10/2025

Sembrano essere passate ere geologiche dalla primavera del 2019 che vide il primo “Global Climate Strike”, promosso da Fridays for Future ispirato da Greta Thunberg, mentre nel Regno Unito Extinction Rebellion – fondato pochi mesi prima dal sociologo Roger Hallam, ex agricoltore e ricercatore in sociologia che elaborò una strategia di mobilitazione basata sul 3,5% della popolazione attiva come soglia di cambiamento politico – faceva approvare la dichiarazione d'emergenza climatica alla Camera dei Comuni, sull'onda di imponenti manifestazioni per il clima. Oggi, nel 2025, a dieci anni dall'Accordo di Parigi, il clima sul clima è cambiato. Donald Trump ha dato il via a un disimpegno dell'Occidente circa i cambiamenti climatici, attaccando la scienza del clima alle fondamenta. L'uscita dall'Accordo di Parigi, la dichiarazione di guerra alla scienza e ai dati, non solo del clima, i tagli drastici alle rinnovabili, compreso il blocco a iniziative già avviate e la spinta alle fossili, hanno dato il via all'abbandono, da parte di aziende, di fondi d'investimento e istituzioni internazionali, della decarbonizzazione accelerata che non solo sarebbe necessaria, ma è diventata un obbligo assoluto se si vuole avere un futuro, vista la tendenza al rosso di tutti gli indicatori climatici. Ma ciò riguarda, per fortuna, solo l'Occidente. L'Asia, infatti, sembra aver capito che ormai la lotta alla CO2 – e quindi al cambiamento climatico – è, nei fatti, il fattore chiave del nuovo sviluppo economico, con la Cina che sembra aver compreso con chiarezza quale sarà il mercato del prossimo futuro: quello del Green

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L'Occidente, invece, è posseduto da una sclerosi concettuale che gli impedisce di capire i nuovi paradigmi al punto da rifiutarli. Europa compresa. Il Vecchio Continente, infatti, è stato il think tank intellettuale dove si sono create le basi culturali e metodologiche dei nuovi paradigmi dello sviluppo sostenibile – la commissione che redasse il Rapporto Brutland del 1987, nel quale c'è la definizione di “Sviluppo Sostenibile”, era composta da 22 membri ,sei dei quali, presidente compresa, erano europei – e nonostante ciò appare bloccato, stretto nella tenaglia fatta dall'azione e dal pragmatismo asiatico e dalla retroguardia sistemica dell'alleato (forse ex) d'oltre Atlantico. Un blocco che, unito alle crisi belliche della Palestina e dell'Ucraina, ha paralizzato l'Europa, che oggi è un continente dominato dall'incertezza. Su tutto, specialmente per quanto riguarda il green. Il piano energetico europeo è divenuto in pochi anni indefinito, sfocato. Nella tassonomia del Vecchio continente oggi ci sono le rinnovabili, il gas – come fonte di transizione, ma non si sa per quanto – e il nucleare. Come queste fonti possano coesistere in un unico mercato appare difficile immaginarlo.

Sulle tecnologie digitali, campo nel quale si giocherà una partita enorme, specialmente sull'energia, l'Europa ha scelto di non scegliere, normando ciò che non possiede nei fatti. L'incertezza regna sovrana, specialmente sul fronte politico. Circa il conflitto Israele/Palestina la politica europea è stata assente, a parte la Spagna, addirittura a livello lessicale. Una parola come “genocidio” riferita alla guerra di Gaza è stata a lungo bandita dal lessico politico, anche quando è arrivata una definizione da parte delle Nazioni Unite. Ed è stata un'incertezza di tale livello, quella della politica europea, che ha spinto grandi segmenti della popolazione europea a scendere in piazza, per uscire dall'incertezza. 

Per non parlare delle scelte industriali. Prendiamo l'automotive. L'Asia ha scelto con decisione l'elettrico, mentre gli Stati Uniti di Donald Trump spingono per l'endotermico alimentato dalle fossili. E l'Europa rimane in mezzo al guado con la politica che avrebbe, il condizionale è d'obbligo, scelto la data di estinzione del motore a scoppio – il 2035 – ma che oggi sta valutando il rinvio se non l'azzeramento di questa opzione. Il tutto senza un filo di pensiero industriale sull'argomento, cosa che sta portando alla rovina le imprese del settore. I settori europei in queste condizioni sono molti, ma soprattutto ciò che deve preoccupare è l'effetto che può avere tutto ciò sui giovani. Incertezza sul clima, sull'economia, sulla geopolitica, sulle risorse, sull'energia, sui conflitti – con la possibilità d'essere arruolati –, per non parlare dell'incertezza sul lavoro, sono tutti fattori d'instabilità che possono minare la psicologia dei più giovani, orientandone le scelte verso forze politiche caratterizzate in senso antidemocratico che però sembrano rappresentare una, fallace, fine dell'incertezza. Quindi: Stati Uniti con la retromarcia senza nemmeno guardare nello specchietto, Europa ferma in corsia d'emergenza a motore spento e Asia in corsa con il turbo innestato. E in tutto ciò l'obiettivo climatico di 1,5°C al 2100 è già di fatto mancato. Benvenuti nell'Aporocene. Epoca nella quale l'incertezza diventa una fase storica.

Il temine “Aporocene” deriva dal greco aporia che significa impasse concettuale, strada senza uscita, con il suffisso -cene che deriva da kainós, nuovo. Con questo termine ho voluto definire un'epoca in cui sistemi complessi e interdipendenti generano blocchi decisionali ricorrenti perché modelli e valori entrano in conflitto, generando una stasi di fatto, definendo una sensazione sociale di impasse, senza per questo confonderla con il caos.

Articolo apparso su Nextville.it, 20 ottobre 2025 

Immagine:  Stephen Andrews (Unsplash)