PuntoSostenibile

Sette limiti planetari su nove sono superati

Ma il fallimento della sostenibilità non è ancora inevitabile: è una scelta

di Gianfranco Bologna
pubblicato il 01/10/2025

Nell’anno in cui le Nazioni Unite compiono 80 anni, il 25 settembre scorso sono stati raggiunti i 10 anni dall’approvazione da parte di tutti i Paesi del mondo nell’Assemblea generale Onu dell’Agenda 2030, coi suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, nonché i 10 anni dall’approvazione dell’Accordo internazionale di Parigi per ridurre il cambiamento climatico in atto.

Nell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in quasi un’ora di un’incredibile discorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha attaccato pesantemente le Nazioni Unite, il sistema del multilateralismo e il diritto internazionale (intanto nel frattempo ha già emanato ordini esecutivi per eliminare significativi contributi, come quelli destinati all’Usaid, che hanno colpito pesantemente i programmi alimentari e di sviluppo in diversi paesi poveri), ha farneticato sul suo ruolo per chiudere 7 guerre nel mondo, ha criticato l’Unione europea, e soprattutto ha dichiarato che il cambiamento climatico antropogenico è falso e che su questa falsità a suo avviso si sono spesi fondi per la decarbonizzazione che hanno fatto solo del male alle imprese e all’economia dei Paesi che li hanno intrapresi, e che quindi bisogna invece continuare a utilizzare i combustibili fossili.

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Di fatto una palese richiesta per una vera e propria pietra tombale su tutta l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi, nonché la conferma della sua politica profondamente antiscientifica che sconcerta profondamente, soprattutto da parte della presidenza di un Paese come gli Usa che è stato sempre all’avanguardia della ricerca. Il linguaggio sprezzante e offensivo usato da Trump nell’aula più solenne del mondo penso sia stato un vero sfregio al diritto internazionale e al rispetto delle scelte altrui, ma anche alla scienza e all’umanità intera.

Il giorno successivo allo sproloquio trumpiano, anniversario dei 10 anni dell’Agenda 2030, l’importantissimo team di straordinari scienziati specialisti delle scienze del sistema Terra, capaci cioè di analizzare l’evoluzione e il funzionamento delle varie sfere del nostro pianeta (atmosfera, idrosfera, geosfera, pedosfera, criosfera, biosfera, antroposfera, tenendo presente le loro complesse interrelazioni e connessioni), ha pubblicato il fondamentale rapporto intitolato “Planetary Health Check 2025”

Si tratta del documento che fa il punto sullo stato di salute delle importanti componenti del sistema Terra analizzate per valutare se hanno o meno sorpassato il limite planetario (planetary boundaries) oltre il quale si possono raggiungere effetti preoccupanti per l’intera umanità.  

Il rapporto che riassume una straordinaria quantità di ricerche su questi temi, dimostra chiaramente come più di tre quarti dei sistemi di supporto della Terra non si trovano nella zona di sicurezza e avverte che l'umanità sta superando i limiti di uno spazio operativo sicuro (come scienziati del calibro di Johan Rockstrom, uno degli autori del rapporto e di Willy Steffen, che purtroppo non è più tra noi, hanno individuato con ricerche fondamentali sin dal 2009), aumentando il rischio di destabilizzare il pianeta. Sui nove limiti planetari indicati da tempo dalla ricerca scientifica sette sono ormai superati e riguardano: cambiamento climatico, integrità della biosfera, cambiamento del sistema terrestre, uso dell'acqua dolce, flussi biogeochimici, nuove entità antropogeniche e acidificazione degli oceani. Tutti e sette questi limiti purtroppo mostrano anche un trend in peggioramento.

I nove limiti planetari (ai sette sopra indicati vanno aggiunti il carico di aerosol che favorisce l’inquinamento atmosferico e la riduzione dell’ozonosfera), come ormai dimostrato da una quantità di ricerche straordinaria e affascinante, costituiscono insieme il sistema operativo della Terra, ovvero i processi interconnessi che sostengono la vita sul pianeta e che devono rimanere entro limiti di sicurezza necessari per garantire la salvaguardia dell'umanità e la resilienza del mondo naturale. Gli scienziati monitorano questi limiti attraverso misure chiave, simili ai segni vitali che si registrano in un controllo sanitario, per tenere traccia delle condizioni del pianeta. I risultati indicano un deterioramento accelerato e un rischio crescente di cambiamenti irreversibili, compreso un rischio più elevato di punti di non ritorno.

In particolare, il rapporto 2025 si focalizza la situazione degli oceani documentando il sorpasso, per la prima volta, del limite dell'acidificazione degli oceani. Questo cambiamento, causato principalmente dalla combustione di combustibili fossili e aggravato dalla deforestazione e dal cambiamento dell'uso del suolo, sta degradando la capacità degli oceani di fungere da stabilizzatori della Terra.

Con questo l’approfondimento scientifico sui limiti planetari che, come ricordavo prima è iniziato con un famoso lavoro scientifico nel 2009 pubblicato su Nature, segna il settimo limite superato, spingendo l'umanità ancora più lontano dalla zona di sicurezza per la nostra civiltà e le conseguenze appaiono già molto evidenti: l'acidificazione degli oceani ha ormai superato i livelli considerati sicuri per la vita marina e gli ecosistemi ne stanno già risentendo. I coralli delle acque fredde, le barriere coralline tropicali e la vita marina artica sono particolarmente a rischio, poiché l'acidificazione continua a diffondersi e intensificarsi.

Infatti dall'inizio dell'era industriale, il pH della superficie oceanica è diminuito di circa 0,1 unità, con un aumento dell'acidità del 30-40%, spingendo gli ecosistemi marini oltre i limiti di sicurezza. L'oceano sta diventando più acido, i livelli di ossigeno stanno diminuendo e le ondate di calore marine sono in aumento. Questa situazione sta aumentando la pressione su un sistema vitale che contribuisce significativamente a stabilizzare le condizioni del pianeta Terra. L’acidificazione sempre più intensa deriva principalmente dalle emissioni di combustibili fossili e, insieme al riscaldamento globale e alla deossigenazione, influisce su tutto, dalla pesca costiera allo stato di salute dell'oceano aperto. Le conseguenze si ripercuotono sulla sicurezza alimentare, sulla stabilità climatica globale e ovviamente sul benessere umano.

La grande oceanografa Sylvia Earle in occasione del lancio del rapporto ha ricordato che l'oceano è il sistema di supporto vitale del nostro pianeta. Senza mari sani, non c'è un pianeta sano. Per miliardi di anni, l'oceano è stato il grande stabilizzatore della Terra: generando ossigeno, modellando il clima e sostenendo la diversità della vita. Earle fa presente che oggi l'acidificazione è una spia rossa lampeggiante sul cruscotto della stabilità della Terra. Ignorarla significa rischiare di far crollare le fondamenta stesse del nostro mondo vivente. Proteggere l'oceano significa proteggere noi stessi.

Solo due confini planetari restano ancora entro i limiti di sicurezza: il carico di aerosol (inquinamento atmosferico) e lo stato dell’ozono stratosferico. Decenni di azioni internazionali, come il Protocollo di Montreal e la regolamentazione del trasporto marittimo, dimostrano che la politica può contribuire a invertire la tendenza. Le emissioni globali di aerosol sono in calo, anche se l'Asia meridionale e orientale e alcune parti dell'Africa e dell'America Latina devono ancora affrontare un inquinamento da particolato significativo e pericoloso, mentre lo strato di ozono si è in gran parte ripreso.

Il 24 settembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è intervenuto anche il già citato Johan Rockstrom, leader delle ricerche sui Planetary Boundaries, codirettore del PIK, il famoso Potsdam Institute for Climate Impact Research, direttore per lungo tempo del prestigioso Stockholm Resilience Institute, copresidente della Earth Commission, la Commissione della Terra voluta dal grande programma mondiale di ricerca e divulgazione sulla sostenibilità, Future Earth, patrocinato dall’International Science Council, la più grande organizzazione scientifica del mondo.

Chiedo a quanti dei lettori di queste mie note sia giunta eco dell’intervento di Rockstrom all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Riporto per questo, a beneficio di tutti, l’intervento di Rockstrom che ovviamente Trump non ha sentito.  

“Sono ormai passati 10 anni da quando il mondo ha siglato a Parigi un accordo giuridicamente vincolante per evitare pericolosi cambiamenti climatici. Da allora, la scienza ha fornito prove schiaccianti: consentire che il riscaldamento globale a lungo termine superi 1,5 °C costituisce un pericolo.  Eppure, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e nel 2024 il cambiamento annuale della temperatura globale ha superato per la prima volta 1,5 °C sotto i nostri occhi. Questo è motivo di profonda preoccupazione. Ancora più preoccupante è il fatto che il riscaldamento sembra accelerare, superando le emissioni.

Il riscaldamento medio a lungo termine è ora compreso tra 1,3 e 1,4 °C. Siamo sulla strada per superare il limite pluridecennale di 1,5 °C entro i prossimi 5-10 anni. A questo punto, dobbiamo ammettere il nostro fallimento. Il fallimento nel proteggere i popoli e le nazioni dagli impatti ingestibili dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo.

Ma non dobbiamo continuare a fallire. Il ritorno al di sotto di 1,5 °C entro la fine del secolo deve rimanere l'obbligo di tutti gli sforzi internazionali per limitare i pericolosi cambiamenti climatici. Il caldo estremo, gli incendi, la siccità, la scarsità d'acqua, le inondazioni e il degrado del suolo, aggravati dal nostro operato, stanno già influenzando la vita di miliardi di persone in tutto il mondo. Oltre 1,5 °C, questi pericoli diventeranno sempre più ingestibili. Ogni decimo di grado di riscaldamento evitato salva vite umane e mezzi di sussistenza: non è il momento di arrendersi.

Oltre 1,5 °C esiste anche il rischio reale di superare i punti di non ritorno. Le più recenti ricerche scientifiche concludono che siamo quindi pericolosamente vicini a innescare cambiamenti fondamentali e irreversibili.

Se faremo le scelte giuste in futuro, esistono ancora percorsi di ‘overshoot’ che potrebbero riportare le temperature al di sotto di 1,5 °C entro la fine di questo secolo. Una fuga così risicata rimane possibile, ma sarà estremamente difficile.  Richiede una riduzione profonda e rapida di tutti i gas serra, che comporta una transizione quasi completa, a partire da ora, dall'uso dei combustibili fossili.

Sappiamo anche che ridurre le emissioni non sarà sufficiente. Dobbiamo aumentare in modo massiccio la rimozione dell'anidride carbonica. Per ogni 0,1 °C di raffreddamento planetario, è necessario rimuovere 200 miliardi di tonnellate dall'atmosfera.

Ma anche se questo obiettivo venisse raggiunto, falliremmo comunque se non salvaguardassimo il più potente serbatoio di carbonio e sistema di raffreddamento del mondo: un pianeta sano. Se non torniamo allo 'spazio operativo sicuro' dei nove limiti planetari che regolano la stabilità della Terra (tra cui biodiversità, inquinanti, terra, nutrienti e oceani), un clima sicuro sarà irraggiungibile, indipendentemente dai nostri sforzi di mitigazione.

Non fatevi ingannare: attualmente stiamo seguendo un percorso che ci porterà a 3 °C in soli 75 anni, un periodo più breve dell'esistenza di questa stessa istituzione, una minaccia esistenziale che non abbiamo mai sperimentato negli ultimi 3 milioni di anni, e non vi è alcuna garanzia che gli sforzi per raffreddare il nostro pianeta avranno successo.

Il mio messaggio oggi è chiaro: la scienza è chiara, abbiamo una crisi planetaria sul nostro orologio. E disponiamo di soluzioni scalabili per l'eliminazione graduale dei combustibili fossili, l'uso efficiente delle risorse e la transizione verso un'alimentazione sana e sostenibile. Percorsi che ci rendono tutti vincitori. La finestra verso un futuro climatico gestibile è ancora aperta, ma solo per poco. Il fallimento non è inevitabile. È una scelta.”

Articolo pubblicato su Greenreport.it, 1 ottobre 2025

Immagine: Christian Lue (Unsplash)