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Cop28: fine dello sfruttamento delle fonti fossili?

Intervista a Stefano Caserini

di Lucrezia Lenardon
pubblicato il 19/12/2023

È stata chiamata per mesi la Cop dei petrolieri, sia perché si è svolta negli Emirati Arabi Uniti, un petrostato, sia perché è stata presieduta da Sultan Al Jaber, Ceo della Adnoc – Abu Dhabi National Oil Company, la compagnia petrolifera nazionale. Tuttavia, quello di questa 28esima Conferenza delle Parti è stato un risultato insperato, perché per la prima volta si fa chiaramente menzione a una possibile fine dello sfruttamento di petrolio, gas e carbone. Ne abbiamo parlato con Stefano Caserini, ingegnere ambientale, titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e autore del libro Il clima è (già) cambiato.

Il clima è (già) cambiato

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Nel primo Global Stocktake approvato il 13 dicembre, a conclusione della Cop28, è contenuto il termine “transition away” e non il tanto dibattuto “phase out” dalle fonti fossili. Come le sembra questo risultato?

Di fatto il termine “transition away” non è molto diverso dal “phase out”, anzi a me personalmente piace di più perché dà l’idea di un allontanamento dal sistema, in questo caso si parla della fuoriuscita dal sistema delle fonti fossili. È un risultato importante se pensiamo che alla Cop26 di Glasgow si è fatto fatica a menzionare la fuoriuscita dal carbone, mentre qui il riferimento riguarda tutti i combustibili fossili, anche il petrolio e il gas. Inoltre, non è cosa da poco che paesi che hanno una parte significativa del loro pil legato alle fonti fossili si impegnino a uscirne nel giro di 30 anni. Da un lato è corretto che questo risultato venga salutato come un successo della diplomazia climatica, dall’altro dobbiamo ricordarci che si tratta di un impegno scritto su carta, a cui dovranno però seguire i fatti. Entro il mese di marzo del 2025 tutti gli Stati del mondo dovranno infatti aggiornare i loro NDC (Nationally Determined Contribution), ovvero i documenti in cui vengono dichiarati gli impegni dei singoli paesi, in modo tale che per la Cop30, che si terrà a Belém, in Brasile, sarà possibile fare un nuovo aggiornamento di tutti quelli che sono stati gli impegni presi e quali raggiunti. Quello di questa Cop era un risultato insperato e aver fatto la Conferenza a casa dei petrolieri è servito, perché un eventuale fallimento sarebbe stato attribuibile a loro.


I risultati di questa Cop28 permetteranno di rispettare l’Accordo di Parigi, limitando il riscaldamento della temperatura globale a 1,5 °C?

Se davvero si farà quello che è scritto nel documento del Global Stocktake, ossia uscire dai combustibili fossili, ridurre le emissioni del metano e arrivare a emissioni nette zero al 2050, saremo in linea con il limitare il riscaldamento medio globale ben al di sotto di 2 °C che corrisponde all’obiettivo della Cop di Parigi. Bisognerà poi verificare se tutti faranno i compiti a casa, e non mi riferisco soltanto agli Emirati Arabi, all’Arabia Saudita o alla Cina, ma anche all’Europa. Noi abbiamo degli impegni molto seri per quanto riguarda la politica europea sul clima; tuttavia, se si va a vedere quello che si sta realmente facendo, non siamo allineati con gli impegni che abbiamo preso. Il punto è comprendere quello che succederà dopo questa Cop e vedere se verranno messe in campo tutte le politiche legislative, le azioni e gli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati. Durante questa Cop28 si è parlato molto anche di finanza. È stato un tema centrale durante questa Conferenza, sebbene la finanza climatica non sia per ora allineata con gli obiettivi che citavamo prima. Sarà un tema ancora più importante durante la prossima Cop, che si terrà in Azerbaijan. Si tratta di un elemento fondamentale per aiutare i Paesi in via di sviluppo, poiché gli Stati oppressi dal debito non hanno le possibilità di investire in sistemi tecnologici innovativi; o c’è una decisione di aiutarli o lì la transizione non avverrà.


Durante questa Cop a Dubai abbiamo visto una significativa presenza di figure legate al mondo dei combustibili fossili. Quanto può aver pesato la loro partecipazione?

I lobbisti lavorano nell’ombra, non hanno bisogno di venire alle Cop per fare il loro lavoro. Mi aspetto anche che quando una Cop si svolge nella zona del Golfo Persico ci sia una partecipazione più alta dei Paesi di quell’area geografica. Inoltre, in quelle economie una buona fetta del pil è legato alle aziende del fossile e questo determina anche una loro più alta partecipazione. Non credo che le lobby abbiano bisogno di partecipare a questo genere di Conferenze per condizionare quello che il governo dice o meno durante i negoziati. Il punto controverso è che queste lobby agiscono sui governi e hanno indubbiamente dell’influenza, diffondendo anche disinformazione sulla crisi climatica.


Nel suo libro Il clima è (già) cambiato scrive “la storia di come gli esseri umani del XXI secolo hanno cambiato il clima del pianeta è in buona parte ancora da scrivere. Le scelte che faremo nei prossimi decenni contano assai”. Quali sono, secondo lei, gli elementi più importanti su cui focalizzarsi a livello europeo?

A livello europeo saranno fondamentali le prossime elezioni perché ci sono forze di destra, centro-destra ed estrema destra che sono contrarie alle politiche sul clima, che hanno cercato di rallentarle in passato e votato per sminuire le azioni intraprese. Se l’Europa si sposta a destra ci sarà senza dubbio un indebolimento della politica europea sul clima. Secondo me, chi oggi crede sia necessario agire contro la crisi climatica dovrebbe fare di tutto affinché nelle prossime elezioni non vincano delle forze che ancora oggi sono su posizioni che Michael Mann definisce da “inattivisti” (Michael Mann, La nuova guerra del clima) oppure, nemmeno in modo troppo mascherato, posizioni che negano l’esistenza della scienza del clima.


E la Cina?

La Cina, partendo da un sistema prevalentemente basato sull’uso del carbone, sta attualmente investendo molto nel settore dell’energia rinnovabile. Benché debba intensificare ulteriormente i propri sforzi – e vedremo i loro NDC nel 2025 – il paese ha il potenziale per svolgere un ruolo significativo nel raggiungimento del picco delle emissioni globali e successivamente nella loro riduzione. È importante sottolineare che, a differenza dal passato, in cui la Cina poteva essere considerata un freno nei confronti degli obiettivi delle Conferenze delle Parti, durante i recenti negoziati a Dubai non è risultato un player impegnato a cercare di ottenere accordi al ribasso.