I colori delle nuove collezioni (politiche e industriali)
Saranno le imprese a realizzare la transizione ecologica. Le imprese sono più avanti della politica. L’economia e la finanza (come no?) sanno bene dove conviene andare e ci andranno anche prima che sia l’opinione pubblica o la politica a spingerle. Sono loro i driver del cambiamento. Possibile che siano sufficienti poche settimane di un mutato scenario politico internazionale per, quantomeno, incrinare anche questa – forse troppo – rassicurante mitologia?
I segnali più vistosi arrivano dagli Usa, ma anche in Europa è da tempo in corso un processo di messa in discussione di orientamenti che sembravano solidi e soprattutto condivisi. Ci chiedevamo cosa sarebbe stato del Green Deal europeo dopo la formazione della nuova Commissione, la von der Leyen bis, bis ma diversa da prima. Già le proteste del mondo agricolo hanno spinto a un ridimensionamento delle ambizioni per la transizione ecologica di un settore titolare del 10,8% delle emissioni di gas serra in Europa e che, per contro, assorbe oltre il 24% del bilancio Ue. Ma altri settori non sono stati certo alla finestra: automotive e trasporti in generale, energia, chimica, l’intento di demolire alcuni capisaldi del Green Deal è più che esplicito. I casi sono tanti e noti. Del resto la recente e ossessiva insistenza sul tema della competitività rappresenta bene un cambiamento nelle priorità di comunicazione della Commissione europea. Dal Rapporto Draghi alla Bussola europea per la competitività fino al nuovissimo Clean Industrial Deal sembra proprio che la parola green sia meglio evitarla. Come se si trattasse di una collezione di moda, la palette dei colori cambia, e in questo caso come minimo si attenua. Ovviamente, perché certe scelte esattamente “green”, anche e proprio in termini di competitività, sono ineludibili, ma meglio stendere un po’ di cortina fumogena e adottare parole d’ordine più in linea con il momento politico. Si vede che “pulito” è meno compromettente di “verde” e sinonimi.
Inversione di rotta quindi? Goodbye green deal, welcome clean deal? Tutto l’impegno delle imprese verso la sostenibilità, ambientale e sociale (basti pensare alla crescita del numero di imprese certificate BCorp) era solo greenwashing? Adattamento a un diverso clima politico in attesa che tornasse il business as usual?
Mercanti di dubbi
Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale
Naomi Oreskes, Erik M. ConwaySotto la superficie della comunicazione e del discorso politico la traiettoria dell’economia, non solo europea, appare diversa e nelle nostre pubblicazioni se ne trova ampia documentazione. Gli sviluppi della bioeconomia mondiale sono analizzati in Che cosa è la bioeconomia circolare di Mario Bonaccorso, i progressi dell’economia circolare sistematicamente affrontati da Emanuele Bompan in Che cosa è l’economia circolare (oltre che puntualmente nel magazine Materia Rinnovabile), l’innovazione circolare nel settore edilizio è descritta nel volume Building curato da Marco Caffi per la collana Neomateriali nell’economia circolare, l’evoluzione del mercato dell’usato in La rivincita dell’usato di Pietro Luppi e Alessandro Giuliani. A fianco delle analisi settoriali il nostro catalogo propone alcuni dei più brillanti saggi in materia di economia apparsi in questi anni, su tutti per capacità di essere un reale vettore di cambiamento, il best seller globale L’economia della ciambella, di Kate Raworth che riproponiamo in una nuova veste grafica e con alcuni aggiornamenti.
Nel frattempo, tira un’aria pessima per la scienza, più che mai sotto l’attacco di campagne di disinformazione e vera censura orchestrata dai soggetti più vari, interessi economici, governi, settori dell’opinione pubblica disorientati e facilmente manipolabili. Per noi riproporre in questo momento un testo fondamentale come Mercanti di dubbi di Naomi Oreskes ed Erik Conway è testimonianza di un impegno cui non intendiamo derogare.
Immagine: Noemí Jiménez (Unsplash)
