Vacanza social
Chissà quale località questa estate si conquisterà la notorietà via social… Vi ricordate i post della tiktoker napoletana che hanno portato oltre duecento pullman turistici e un numero spropositato di auto sulla strada per Roccaraso? Era fine gennaio e i 10.000 turisti arrivati in giornata hanno fatto tutto ciò che saltava loro in testa: battaglie a palle di neve, invadere con gli slittini le piste da sci. E chissà quanti selfie e reel. Hanno paralizzato tutto, mandato in tilt i servizi. Come ha scritto l’antropologo Marino Niola, è “la incalcolabile capacità dei media orizzontali di far implodere le regole del mercato, di anabolizzarle portando alle estreme conseguenze il ruolo della comunicazione. Che oltre una certa soglia smette di produrre business per trasformarsi in un caos apocalittico e ingovernabile, in cui le perdite superano i guadagni”.
Il fenomeno lo descrive bene Cristina Nadotti in Il turismo che non paga: “Per le località turistiche il problema della notorietà via social non è soltanto l’affollamento improvviso, al quale i sindaci cercano di mettere un freno limitando l’accesso a pullman e auto. I social veicolano comportamenti, spesso molto dannosi, e diffondono una certa idea di quel luogo. Forse non sapremo mai qual è l’entità del danno ambientale causato dalle centinaia di pullman arrivate a Roccaraso e dalle migliaia di persone che hanno calpestato qualsiasi cosa, lasciandosi dietro sfascio e sporcizia. Ma qui il danno è assai più esteso rispetto allo sfregio fatto alla natura. Per le immagini di bagordi sulla neve che resteranno in rete non vale neanche più citare le riflessioni preziose di John Richard Urry, che aveva messo in guardia dai pericoli del romantic gaze, lo sguardo romantico. Il sociologo britannico si preoccupava perché soprattutto le foto che hanno come oggetto ambienti naturali tendono a idealizzarli in una dimensione paradisiaca e incontaminata, finendo per appiattirle in una visione bidimensionale, da cartolina. I video girati a Roccaraso vanno ben oltre questo sguardo idealizzante, sono ben più pericolosi del romantic gaze. Guardare la natura in modo romantico porta a instaurare un rapporto distorto con essa, poiché riflette una prospettiva antropocentrica foriera […] di danni enormi alla fauna selvatica e alla conservazione in generale. Lo sguardo dei tiktoker accorsi a Roccaraso travalica il nostro essere umani, è uno sguardo tecnologico più simile a quello di un androide, i cui occhi sono un’arma capace di distruggere ciò su cui si posano, come un raggio laser. Eppure, bisogna mettere da parte il caso estremo di Roccaraso e concentrarsi su cosa la visione di alcune località turistiche attraverso i social può fare, anche nel bene. Perché con i social dobbiamo convivere e l’industria turistica li sfrutta da tempo. I resoconti video di eccessi e comportamenti inaccettabili non risparmiano alcun luogo, così come le immagini idealizzanti, e sono sempre dannosi per le comunità che ne sono il soggetto, ma vanno analizzati e contrastati con gli stessi mezzi. Paige McClanahan, autrice di The New Tourist, osserva anche che i social media hanno aumentato e differenziato, e di molto, il numero, la nazionalità e la classe sociale di chi scrive di turismo, hanno insomma contribuito a diffondere la scrittura di viaggio, un tempo appannaggio di pochi, spesso offuscati da pregiudizi perché provenienti da società più ricche. Tuttavia, aver differenziato la provenienza culturale degli osservatori per McClanahan non è servito a combattere l’aspetto più controverso della scrittura di viaggio nel corso degli anni: il fatto che possa anche diffondere stereotipi colonialisti o, peggio, crearne di nuovi. Per McClanahan, le immagini oggigiorno diffuse dai social spingono molti a 'girare il mondo alla ricerca di persone e paesaggi da sfruttare per il proprio tornaconto personale'. In altri termini, molti tra gli influencer, i tiktoker, gli iger, comunque li si voglia chiamare, hanno l’atteggiamento colonialista di chi vede una destinazione di viaggio principalmente come un luogo da rivendicare sul suo profilo social e niente di più”.
Voi cosa ne pensate? I social possono fare del bene o bisogna scoraggiare i turisti che ambiscono ad arrivare in una certa località soltanto per poter scattare un selfie? Qualunque cosa rispondiate, è fondamentale avere a monte un’idea precisa del limite oltre il quale non ci si può spingere per lo sviluppo turistico del territorio.
Immagine: Cristina Zaragoza (Unsplash)