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PuntoSostenibile

Il capitalismo affonda. E noi con lui

di Annamaria Duello
pubblicato il 31/01/2023

Espressione da “io ve lo avevo detto”. Sopracciglio alzato, camicia green e braccia conserte. Al collo un ciondolo a forma di pala eolica, sul petto la spilla “There is no Planet B”, sulle braccia motivi floreali tatuati insieme al pugno femminista, le tre frecce del riciclo e l’immancabile “Das Kapital”. No, non è un attivista hipster in posa su Instagram. È Karl Marx – ritratto in versione contemporanea da Samson J. Goetze – che troneggia sulla copertina dell’Internazionale dello scorso 20 gennaio. Al fianco un titolo che non le manda a dire: “Aveva ragione Marx”. E poi ancora: “Il capitalismo funziona male. E i suoi problemi peggiorano con la crisi climatica”.

Ripreso dal magazine tedesco Der Spiegel e firmato da Thomas Schulz, Susanne Beyer e Simon Book, l’articolo scelto da Internazionale come volto di uno dei primi numeri del 2023 ha creato dibattito. Almeno sui social, dove colonne di commenti mostrano simpatia, scetticismo o rifiuto per le idee del filosofo, fra visioni distorte del comunismo e accanimento. Chi invece ha scelto di andare oltre la provocazione in copertina, soffermandosi sulla sostanza dell’articolo, si è interrogato non sulla fattibilità di modelli economici teorizzati oltre 150 anni fa, quanto sui limiti e i fallimenti del capitalismo oggi. Sia sul piano sociale sia su quello ambientale. Soprattutto su quello ambientale.

Sì, perché gli anni d’oro del capitalismo – e della cultura del produci e consuma, poi produci di più e consuma ancora di più – sono stati raggiunti. E superati. Messo di fronte alla crisi ambientale, alla scarsità di risorse e alle ingiustizie sociali, il mondo economico (dai mercati finanziari agli intellettuali d’avanguardia di governi e aziende) non può più fare a meno di mettere in discussione il modello seguito finora. Quanto ancora riusciremo ad andare avanti seguendo un ordine economico che inquina e distrugge l’ambiente? Quanto è sostenibile un sistema che chiede e pretende un aumento perpetuo di consumi, profitti e crescita, e raddoppia – se non triplica – il divario fra ricchi e poveri?

A questa domanda, in realtà, qualcuno aveva già risposto esattamente 50 anni fa. Parliamo del celebre report The Limits to Growth commissionato dal Club di Roma a un gruppo di quattro ricercatori del MIT nel 1972. Quella volta la risposta fu chiara e molto accurata: proseguendo con quel passo, all’umanità restava poco più di un secolo di tempo prima di raggiungere il limite di sopportazione del Pianeta. Ma gli anni Settanta sono passati, e all’inizio del 2023 a noi rimane molto meno tempo per invertire la rotta ed evitare di schiantarci contro quel limite. Di questo, come i più affezionati a questa newsletter sapranno, si parla in Una Terra per tutti. Traduzione del nuovo rapporto al Club di Roma che Edizione Ambiente è stata orgogliosa di portare in Italia.

L’elefante rosa fa quindi le piroette nella stanza da circa mezzo secolo, ma solo davanti alle prime evidenze di catastrofe ambientale anche i più affezionati al potere del capitale hanno iniziato ad aprire gli occhi: serve una svolta. Una di quelle epocali.

Alcuni invocano riforme e una maggiore presenza dello stato nell’economia, addirittura grandi gruppi come Bosch e Goldman Sachs discutono di privilegiare prima gli interessi della comunità che quelli degli azionisti, alla volta di un “capitalismo più equo e sostenibile”. Parliamo di benessere, servizi e risorse per tutti, non solo per pochi. Una prosperità diffusa che non provenga, necessariamente, da un sistema di crescita esponenziale. E che, soprattutto, non gravi sulla salute del Pianeta.

Due dei nostri libri entrano nel dettaglio. Il primo riesce nell’ardua impresa di spiegare cosa sia la decrescita, sfatando falsi miti e paure legate a scenari di regressione, ed è Che cosa è la decrescita oggi di Giorgos Kallis, Susan Paulson, Giacomo D’Alisa e Federico Demaria. Il secondo è Prosperità senza crescita di Tim Jackson, volume che l’articolo definisce “una delle pietre miliari della critica moderna al capitalismo". 

Questo saggio – si legge  – “descrive l’economia come un sistema che ‘per sua natura deve far affidamento sulla presunta voracità dei bisogni umani, nella costante attesa di una crescita continua dei consumi’. Il capitalismo insinua che l’essere umano è inevitabilmente portato a desiderare sempre di più: più soldi, più proprietà e ancora altro. Sono tutte stupidaggini, dice Jackson. Solo gli economisti credono che questo sia l’unico modello possibile”. La notizia cattiva, quindi, è che il modello economico perseguito ciecamente finora ci ha portati su una strada dissestata ed estremamente pericolosa. Quella buona – dice Jackson – “è che per ottenere la prosperità non serve alcun cambiamento radicale della natura umana”.

Per fortuna. Visto che, con questo ritmo, non si sa per quanto tempo ancora rinunciare alla crescita possa essere una scelta volontaria. E non obbligata dal raggiungimento di un punto di non ritorno.


Immagine: Illustrazione digitale di Samson J. Goetze per Der Spiegel.