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PuntoSostenibile

La nuova geopolitica della scarsità di cibo

Intervista a Lester Brown, settembre 2012

di Paola Fraschini
pubblicato il 13/11/2023

Dal punto di vista alimentare il mondo si trova davvero nei guai. Stiamo passando da un’epoca caratterizzata da una grande abbondanza di cibo a una di scarsità. Infatti, nel corso degli ultimi dieci anni le riserve globali di cereali sono diminuite di un terzo e, a livello mondiale, i prezzi degli alimenti sono più che raddoppiati. Secondo Lester Brown, “uno dei pensatori più influenti del mondo” (Washington Post), autore di Nove miliardi di posti a tavola, non è solo l’attuale situazione alimentare che si va deteriorando, ma è lo stesso sistema globale del cibo. Via via che gli approvvigionamenti di cibo si riducono ci spostiamo verso una nuova era alimentare in cui ciascun paese farà per sé, il cibo sarà considerato importante al pari del petrolio e il terreno agricolo prezioso come l’oro.

Nove miliardi di posti a tavola

La nuova geopolitica della scarsità di cibo
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Nel tuo libro scrivi che “ogni anno la popolazione mondiale cresce di circa 80 milioni e stasera si siederanno a tavola 219.000 persone che ieri non c’erano”. Cosa prevede il menu? E a quale prezzo? 

La triste realtà è che gran parte delle 219.000 persone che stasera si siederanno a tavola troverà piatti vuoti. L’aumento dei prezzi dei cereali negli ultimi anni ha significato per le famiglie a basso reddito, che spendono per il cibo tra il 50 e il 70% del proprio budget, che non potranno più permettersi di mangiare tutti i giorni. Per coloro che si ritrovano intrappolati nella forbice del basso reddito e dei prezzi raddoppiati, vi è una sola scelta: mangiare di meno. Una recente indagine condotta da Save the Children mostra che il 27% delle famiglie in Nigeria ormai pianifica con regolarità dei giorni della settimana in cui salterà il pasto. Per l’India il dato comparabile è del 24%. Per il Perù è il 14%.


Se il cibo è il nuovo petrolio e la terra è il nuovo oro, l’acqua cosa rappresenta? 

L’acqua è la chiave per la sicurezza alimentare futura. Il principale vincolo che sta emergendo come ostacolo agli sforzi per espandere la produzione alimentare mondiale è l’acqua e non la terra. Beviamo una media di 4 litri per persona al giorno, ma il cibo che consumiamo quotidianamente richiede 2.000 litri di acqua, 500 volte di più. L’idea che il picco dell’acqua possa oggi essere alle porte trova conferma nel drastico rallentamento dell’espansione delle aree irrigate che si accompagna con il progressivo esaurimento degli acquiferi. La crisi idrica che si va rapidamente manifestando non si è ancora tradotta in carestia alimentare planetaria, ma presto accadrà, se non si prenderanno subito dei provvedimenti.


Nel tuo libro parli anche di land grabbing. Andare alla ricerca di territori oltre frontiera non è un fenomeno del tutto nuovo: gli imperi e le potenze coloniali si sono espansi con le acquisizioni territoriali. Qual è la novità oggi rispetto al passato?

Storicamente le acquisizioni territoriali da parte delle potenze coloniali comportavano una certa responsabilità per la popolazione locale e per la loro società. Il fenomeno delle acquisizioni oggi ha come caratteristica quella di trarre vantaggio delle imprese agro-alimentari e di altri investitori, con scarsa preoccupazione per il rispetto dei diritti e del benessere della popolazione che su quella terra viveva e per la terra medesima. Addirittura per molti investitori che hanno in progetto di usare i terreni acquisiti e fare business, ve ne è anche un ampio gruppo che specula sui terreni non avendo né l’intenzione né la capacità di produrre raccolti. 

L’ostilità da parte della popolazione locale verso il land grabbing è la regola, non l’eccezione. Le sottrazioni territoriali sono tre volte perdenti: gli abitanti perdono le proprie terre, il proprio cibo e i loro mezzi di sostentamento.


La Commissione europea ha proposto di limitare al 5% il contributo dei biocarburanti da colture alimentari, ai fini del conseguimento dell’obiettivo del 10% di energie rinnovabili nei trasporti al 2020. Lo scopo è quello di stimolare lo sviluppo di biocarburanti alternativi (di seconda e terza generazione) derivati da materie prime non alimentari, come rifiuti o paglia. C’è quindi una certa consapevolezza, anche a livello politico, dei possibili danni derivanti dall’eccessivo ricorso ai biocarburanti tradizionali. Da questo punto di vista è emblematico il caso del bioetanolo ricavato dal mais negli Stati Uniti. In quale direzione sta andando oggi il mercato globale dei biocarburanti per autotrazione? 

Gli Stati Uniti sono di gran lunga il paese leader nella trasformazione di cereali in carburante per le auto. Fin dal 2005, infatti, è attivo un programma di produzione e utilizzo di biocarburanti da colture alimentari, che prevede forti sussidi sia per gli agricoltori sia per l’industria automobilistica. E in questi anni si sono visti con chiarezza diversi effetti negativi imputabili al cambio di destinazione, da alimentare a energetica, di quote crescenti della produzione di mais: il principale contraccolpo negativo è stato l’alterazione dei prezzi delle altre principali commodities agricole, come la soia e il frumento. L’opposizione a questo massiccio utilizzo di colture per biocarburanti sta crescendo. Di conseguenza, negli Stati Uniti la produzione di etanolo è calata di circa il 10% rispetto a un anno fa. Con i prezzi del mais in ascesa, sia le pressioni da parte del mercato sia le pressioni politiche per ridurre l’uso di cereali per produrre carburante continueranno.


Intervista pubblicata su Puntosostenibile n.9, 2012