PuntoSostenibile

Hackerare la realtà

Tre dispositivi per risolvere i bug del food system

di Annamaria Duello
pubblicato il 23/01/2024

Qualcosa non quadra nell’attuale sistema agroalimentare.

Basta guardare da vicino per rendersi conto di come ogni parte della filiera lunga del cibo sollevi criticità diverse ma tutte collegate. Dagli impatti ambientali delle produzioni intensive agli sprechi su larga scala, dall’uso massiccio delle tecnologie di ultima generazione ai temi della sicurezza e della qualità nutrizionale, ci troviamo di fronte a uno scenario che rischia di mettere da parte il cuore pulsante dell’intera filiera: le persone. E all’elenco di criticità si aggiungono così anche le disparità sociali ed economiche, la perdita delle tradizioni locali e una possibile minaccia per le comunità rurali.

Per dirlo come farebbe Alex Giordano, autore del libro FoodSystem 5.0. Agritech, dieta mediterranea, comunità, il nostro food system è infestato di "bug" che richiedono un audace atto di "hacking" per essere risolti. Una metafora informatica che sott’intende una vera e propria rivoluzione di sistema.

FoodSystem 5.0

AGRITECH | DIETA MEDITERRANEA | COMUNITÀ

Vi proponiamo un estratto dal volume:

Hackerare la realtà. Ecco quello che serve: abbiamo tremendamente bisogno di immaginare, sperimentare e provare insieme a cambiare il mondo, cercando di eliminare i bug del nostro sistema socio-culturale-economico. 

È tempo di mettere in discussione i modelli estrattivi – delle risorse, dell’ambiente, dell’energia, delle comunità, dei dati – e assumere un punto di vista pluralista e post coloniale, per leggere e affrontare la complessità del presente, guardando alla redistribuzione del valore piuttosto che all’estrazione, per una maggiore diffusione dell’uguaglianza e delle opportunità.

In questa direzione, dunque, l’innovazione tecnologica può essere innovazione sociale. Quando cioè le tecnologie sono capaci di essere strumenti che assumono un ruolo rilevante, perché sanno parlare con i contesti nei quali devono essere applicate, con l’intento di favorire i processi di cambiamento per facilitare la vita delle persone, limitare gli impatti negativi sull’ambiente, abilitare le connessioni tra diversi attori e vivere in modo ecologico”.

La seconda parte di FoodSystem 5.0 si focalizza proprio su questo: come hackerare il sistema dell’agrifood, il pilastro della nostra stessa esistenza sulla Terra, affrontando i bug di sistema attraverso tre dispositivi: dieta mediterranea, tecnologie e comunità.

“La dieta mediterranea come insieme di principi che stanno alla base di una grande esperienza sociale, culturale e simbolica; un’espressione identitaria che inquadra l’approccio da noi qui proposto per affrontare i processi di innovazione e trasformazione dei territori. La dieta mediterranea, infatti, non è solamente un insieme di abitudini alimentari ma è piuttosto l’esempio di un modello ecosistemico nel quale si crea una misura tra l’uomo e l’ambiente, con effetti positivi sulla salute dell’uomo, evitando all’ambiente il peso di uno sfruttamento eccessivo e con un sistema sociale che rende questo modello alimentare sostenibile anche dal punto di vista economico. E il Mediterraneo è il punto di partenza su cui si fonda il nostro sguardo e il nostro discorso ecosistemico: è un orizzonte simbolico, oltre a essere un (ovvio) riferimento territoriale: il mind set mediterraneo ci suggerisce una strada per governare la complessità contemporanea nei tempi della network society. In questo senso la dieta mediterranea è la 'guida all’uso' delle tecnologie, soprattutto quelle cosiddette 4.0. Ci serve una dieta mediterranea del 4.0.

Le tecnologie e in particolare la possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale, insieme a forme di intelligenza collettiva, in modo critico e generativo per creare condizioni di sostenibilità reali. A nostro avviso serve un nuovo paradigma: non è possibile, infatti, che l’attuale sistema sia capace di produrre minori impatti sull’ambiente, una riduzione dei consumi, maggiore uguaglianza e minore sfruttamento. Le tecnologie possono essere un ottimo dispositivo di hackeraggio, a condizione che si inneschino nuovi meccanismi che tutelino gli interessi di tutti gli attori in gioco. Serve una nuova produzione di saperi e un diverso atteggiamento cooperativo, insieme alla possibilità di sperimentare nuove strade, non ancora percorse, con un atteggiamento da demiurghi che riescano a tenere insieme tecnica, scienza, arte e mestiere. Serve una visione critica verso l’attuale evoluzione delle tecnologie e del digitale e servono occasioni di sperimentazione di modelli alternativi: una cyberdiversità che porti cambiamenti sostanziali.

Le comunità intese come territori e anche come attori. Territori come luoghi ideali per sperimentare i processi di innovazione e comunità di soggetti che appartengono agli stessi ecosistemi. Attraverso le comunità proponiamo un hackeraggio che, partendo dai principi della dieta mediterranea e dall’uso delle tecnologie, favorisce la creazione di possibili forme di ricomposizione sociale ed economica con uno sguardo particolare al bene comune. I territori diventano laboratori dove le comunità si attivano per ideare soluzioni e strumenti adeguati a un maggior benessere”.